23 aprile - II di Pasqua (della Misericordia) | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

23 aprile - II di Pasqua (della Misericordia)

Liturgia: At 2, 42-47; Sal 117; 1Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-3123 aprile - II di Pasqua (della Misericordia)E’ la Pasqua compiuta! Oggi, infatti, lo Spirito Santo rende presente il Risorto nella Chiesa. Si realizza la promessa di Gesù e inizia il tempo della Chiesa: “Come il Padre ha mandato me, io mando voi”. Da questo momento il vento dello Spirito porterà i discepoli sino agli estremi confini della terra e... fino al martirio. Come in una nuova creazione, lo Spirito del Risorto fa capaci i discepoli di qualcosa d’inaudito: perdonare i peccati. Vanno a tutti perché gli uomini e le donne, sotto tutti i cieli, hanno bisogno proprio di questo: misericordia e perdono. Perché il vecchio Pietro oserà spingersi fino a Roma? Perché Paolo rischierà ogni cosa spostandosi di paese in paese? E gli altri apostoli fino ai confini allora conosciuti? Perché lo Spirito aveva acceso in loro un amore più forte d’ogni legame e della loro stessa vita. Un amore unico per Cristo e per tutti, perché in Cristo ci apparteniamo gli uni agli altri e si supera ogni estraneità. Il regno del Padre che si annuncia è quello dell’amore misericordioso e i sacramenti della Chiesa offrono il perdono e rinnovano tutti i gesti della vita cristiana.

“Venne Gesù e disse loro: Pace a voi!”. Questo è il Vangelo di oggi. Questo è ciò che ogni uomo e donna della terra attende più di tutto: l’incontro con Gesù e il dono della pace. Le due cose vanno insieme, perché la pace è dono del Risorto.
Per essere risorti, però, occorre indossare la “veste bianca” (questa è la Domenica in albis) di una mentalità rinnovata, secondo il Vangelo. Solo così si può gioire (questa è la colonna sonora delle letture di oggi) quando si donano i propri beni e si condivide la fede con la gente semplice (la lettura degli Atti), ma anche quando si è afflitti da varie prove (la lettera di Pietro). Si gioisce sempre, si è in qualche modo convinti della gioia, perché prima c’è la gioia di un incontro: “mentre erano chiuse le porte venne Gesù e disse: Pace a voi!. Mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore”.

Finalmente i discepoli si lasciano convincere, aprono gli occhi. Prima, avevano timore, erano nel lutto e piangevano. Persino dinanzi alla testimonianza della Maddalena, non volevano credere. Anche noi, oggi, dobbiamo ancora incontrare il risorto. Se ci guardiamo attorno e anche un poco più in là (dentro e fuori Gerusalemme) non vediamo altro che il timore, il lutto e il pianto. La fede ci tocca qui. Il risorto ci incontra e ci raggiunge proprio in questa situazione di paura, di inerzia lacrimosa, di incredulità. E non si ferma qui, ma ci coinvolge nella sua missione: “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Si guarisce dalla paura anche andando ad aprire il cuore e gli occhi degli altri. L’annuncio e l’augurio di Pasqua non si esauriscono in un giorno. Il tempo di Pasqua è lungo, dice la liturgia, fino a Pentecoste. La vita e la storia ci dicono che il tempo di pasqua dura finché c’è ancora chi vive nel timore, nella fame, nella violenza, nella guerra. Insomma, nella paura della morte. Per vincerla, ci vuole lo Spirito Santo, la forza di Dio, la sola capace di toccare e cambiare le menti e il cuore degli uomini.

La pace viene dopo. Prima viene la presenza del Risorto, il suo essere in mezzo a noi. E’ lui la nostra pace. La paura degli apostoli, barricati nel cenacolo, nasceva proprio dall’assenza di Gesù; era questa la loro solitudine, il loro smarrimento. Pasqua arrivò come festa e come gioia all’improvviso, fu la presenza di Gesù di nuovo in mezzo a loro.

Nel Vangelo di oggi è significativa l’assenza e la successiva presenza di Tommaso, l’apostolo che, per credere alla resurrezione, prima voleva vedere e toccare. Per nessun ebreo una ‘resurrezione’ senza corpo, soltanto spirituale, aveva significato. Un ebreo aveva bisogno di ‘toccare’ un corpo e un ebreo autentico è l’apostolo Tommaso. Il Risorto è perciò quasi obbligato ad esibire le prove del suo nuovo essere e della sua identità: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani”. E Tommaso fa la perfetta professione di fede: “Mio Signore e mio Dio”. Insieme con Tommaso, anche i discepoli, anche noi.Mons Angelo Sceppacerca23 aprile 2017
Licenza Creative CommonsLe informazioni e gli articoli pubblicati su questo sito sono distribuiti con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia