Domenica 11 Ottobre | Diocesi di Trivento

Commento al Vangelo

Domenica 11 Ottobre

Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.


Per raggiungere la vita bisogna rinunciare alla vita (intesa come piacere e utile immediato, come autoaffermazione attraverso il successo, il potere sugli altri, il possesso delle cose). Gesù fa alcuni esempi. Il matrimonio non deve essere vissuto come coincidenza precaria di due egoismi, ma come superamento dell’egoismo individuale nel dono reciproco incondizionato, cosa che esclude ogni divorzio, e come superamento dell’egoismo di coppia nell’apertura ai figli e alla società (cf. Mc 10,1-16). Le ricchezze servono per aiutare gli altri (cf. Mc 10,17-27). L’autorità deve essere esercitata non come un dominio, ma come un servizio (cf. Mc 10,41-45).

Un proverbio ebraico
dice che nemmeno in sogno si può vedere un elefante passare attraverso la cruna di un ago. Gesù si diverte a riformulare il proverbio. I discepoli restano comunque colpiti, perché ritengono che le ricchezze siano un aiuto, non un impedimento. Dinanzi al loro smarrimento, Gesù punta lo sguardo al fondo del cuore e dice: certo, da solo, nessun uomo è libero veramente e può auto-salvarsi! La libertà e la salvezza nascono proprio dall’incontro e dalla sequela di Gesù. Pietro e i discepoli già stanno vivendo questa esperienza, perciò esclamano: chissà come sarà grande la nostra felicità! Gesù lo conferma. Ma lo testimoniano anche le mille storie di chi, proprio avendo lasciato tutto per il Regno dei cieli, già su questa terra sperimenta la misura del centuplo: in fratelli, sorelle, case. Soprattutto in gioia e in libertà, due prodotti che scarseggiano molto nel grande mercato del benessere.
Anche il giovane ricco pensava che la vita eterna consistesse nel fare qualcosa in più, invece Gesù gli dice che l’avrebbe ottenuta lasciando tutto. Fatto sta che per tutti, primi e secondi, la salvezza è dono gratuito del Padre. Non si può meritarlo o pretenderlo: è grazia.

Cosa c’è di più dei comandamenti di Dio? La libertà e la povertà. La libertà da tutto e da tutti; la povertà – che è l’altro nome della libertà – nel senso del dono radicale e definitivo di se stessi. Può sembrare una cosa impossibile – una contraddizione in termini (comandamenti e libertà) – perfino da afferrare e comprendere, ma non “nei pressi di Dio”. E proprio “presso Dio” bisogna andare e verificare se ci sono persone che hanno lasciato tutto e tutto – moltiplicato per cento volte – hanno ricevuto in cambio dall’amore di Dio. Ne conoscete di persone così? Ce ne sono molte. Sono i discepoli del Signore, innumerevoli e in ogni epoca. Liberi e gioiosi, come Francesco di Assisi, Camillo de Lellis, Teresa di Calcutta, tanto per nominarne alcuni, capostipiti, a loro volta, di schiere di altri discepoli, uomini e donne felici di lasciare il poco che avevano e di trovare – presso Dio – il molto che neppure osavano sperare e immaginare.

All’inizio era stato il giovane ricco ad attirare l’attenzione di Gesù perché lo aveva riconosciuto come “Maestro buono” e gli si era inginocchiato dinanzi, con un gesto di grande sincerità. A sua volta, è Gesù che lo colpisce dritto al cuore perché “fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse…”. L’amore di Gesù non riduce il prezzo, non fa sconti, anzi accompagna richieste ed esigenze alte e radicali. Sarà per questo che il vangelo di oggi è accostato alla lettura dal libro della Sapienza. Per capire la parola di Gesù, che gli sgorga dal cuore, ci vuole proprio la sapienza del cuore. Solo allora si può lasciare tutto e tutti ed essere felici davvero, senza attendersi nulla in cambio: per amore. Per un amore innanzitutto ricevuto. Il punto di nascita di ogni “lasciare” qualcosa che abbiamo in mano è l’abbraccio tenerissimo che uno riceve e poi ricambia. Non è mai il rovescio.

Angelo Sceppacerca

Mons Angelo Sceppacerca11 ottobre 2009

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