Domenica 25 Luglio | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 25 Luglio

Liturgia: Gen 18, 20-32; Sal 137; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

La storia della salvezza si compie quando – finalmente! – ogni uomo può dire “Padre nostro”. Solo allora passeranno i cieli e la terra perché tutto sarà Cielo. La preghiera dell’Abbà è tra un tu che è il Padre e un noi: io insieme a tutti i fratelli rivolti all’unico Padre. Senza il tu che è il Padre non c’è preghiera, ma grido nel vuoto. Anche senza il noi non è preghiera perché non c’è eco separati dai fratelli.

Poter dire Padre nostro è già esaurire ogni preghiera. Tutto è già dato nel Figlio. “Padre” è nel vangelo 180 volte. Poter dire Padre nostro è il grande dono di Gesù, un Dio che ci ama più di sé.

La parabola che segue il Padre nostro è spiegazione alla richiesta del pane quotidiano sostenuta da una fede audace (quasi sfacciata, sfrontata!) nell’amico che dorme e che si “desta” per dare i tre pani necessari a chi li supplica di notte. Il pane per ogni giorno ha la figura profetica nella manna del deserto. L’Eucaristia appaga e soddisfa la preghiera; è il pane che sazia e fa dire “Abbà”, Padre. Per averla, occorre bussare forte alla porta dell’amico che dorme e che deve destarsi per aprire ed appagare il nostro bisogno. Solo il rapporto con l’Eucaristia e, attraverso di essa, con il mistero pasquale di morte e resurrezione del Signore, spiega il legame tra la preghiera del Padre e la parabola di chi che non teme di bussare forte alla porta dell’amico, anche di notte: è la fede che non si ferma davanti alla croce, ma attinge dalla risurrezione.

Abbà è preghiera inimitabile del Figlio unigenito, prova della sua intimità con Dio, condizione unica ed esclusiva. E invece Gesù ci introduce nella sua stessa preghiera, desidera che noi preghiamo come lui: l’ Abbà ci assimila alla sua condizione di Figlio. Domandare che “sia santificato il tuo nome” significa domandare che il suo nome sia l’unico, ripudiando in modo assoluto ogni superstizione feticista. Solo il Padre è Dio. Invocare che “venga il suo regno” è perché non è venuto del tutto e tutti siamo per strada, portati dallo Spirito alla piena conoscenza e comunione. Il nostro cammino è fatto di perdono e dell’espansione della sua potenza. E infine la supplica che il Padre non ci abbandoni nella prova.Prima della nostra c’è la preghiera del Padre, rivolta a noi. Egli parla al nostro cuore e alla nostra vita. E noi rispondiamo, cercando la sua volontà. Per questo la preghiera è sempre “nello Spirito”, cioè nella comunione col Padre e col Figlio. Clemente d’Alessandria, per far capire con quale amore Dio ci ama, dice: “Dio è Padre, ma la tenerezza con cui ci ama lo fa diventare madre. Il Padre si femminizza amando”. E Salviano di Marsiglia gli fa eco affermando che Dio ci ama più di quanto un padre ama il proprio figlio: “Dio (...) volle che noi riconoscessimo il suo affetto paterno. Dirò solo paterno? No, più che paterno (...). Dio ci ama più di quanto un padre ama il proprio figlio perché per amore nostro non risparmiò il suo Figlio giusto, il Figlio unigenito, il Figlio di Dio. Chi può allora misurare l’amore di Dio verso di noi?”.Mons Angelo Sceppacerca25 luglio 2010
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