Domenica 19 novembre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 19 novembre

Liturgia: Pr 31, 10-13.19-20.30-31; al 127; 1Ts 5, 1-6; Mt 25, 14-30Una foto di Giorgio La Pira

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

I talenti non sono le capacità o i beni materiali da moltiplicare. Sono l’olio del brano precedente (le lampade delle dieci vergini che aspettano lo Sposo) e l'amore verso i poveri del brano seguente (“Avevo fame…”). Il vero talento è l'amore che il Padre ha per noi e che deve duplicarsi nell'amore nostro verso i fratelli.

Il talento non era una moneta, ma solo una unità di conto. Non si poteva coniare una moneta di quasi 27 chilogrammi! Parlare di talento significava indicare un valore molto grande (tempo fa, in Italia, si era soliti dire: “Un milione!”), come enorme è il tesoro lasciatoci da Gesù. A chi più, a chi meno, nessuno escluso: popoli, culture, terre, religioni.

La di oggi porta in sé la responsabilità della fede. Non è una garanzia, un nullaosta per il paradiso, ma un dono tanto più prezioso quanto più fecondo per come viene accolto e custodito. Questo racconta l’azione del servo che si diede subito da fare con i cinque talenti ricevuti: il dono diventa dovere, non potere.

Il fatto che il “dovere” assegnatoci è proporzionato alla “capacità di ciascuno”, dice che tutti possono vivere interamente la vita cristiana, soprattutto chi si sente piccolo ma che con poco riesce a fare grandi cose. Per questo, alla fine non c’è differenza nel premio che, per tutti, è ‘la gioia del tuo Signore’. Saremo pure piccoli e deboli, ma certamente siamo anche molto amati! Com’è il paradiso? Non è entrare in un luogo, ma essere coinvolti nella gioia di Dio.

La parabola dei talenti, era una pagina di vangelo molto cara a Giorgio La Pira. I talenti sono da moltiplicare, ma non nel senso di quella interpretazione, estranea alla tradizione cattolica, che vede nel successo economico come tale un segno della benedizione divina. Per Giorgio La Pira il “bilancio contabile” deve essere modellato sul “bilancio umano”. «Quando Cristo mi giudicherà, io so di certo che Egli mi farà questa domanda unica: come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla società, della quale e nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune, la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?». Un criterio che Giorgio La Pira estendeva anche all’ambito internazionale: «I popoli e le nazioni cui sono stati affidati talenti di alta potenza tecnica, economica e sociale si volgano operosamente – con vasti, organici e pronti piani di intervento – verso quei popoli e quelle nazioni cui questi talenti non sono stati ancora partecipati».

Mons Angelo Sceppacerca19 novembre 2017
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