Domenica 14 ottobre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 14 ottobre

Liturgia: Sap 7, 7-11; Sal 89; Eb 4, 12-13; Mc 10, 17-30Domenica 14 ottobre

Per raggiungere la vita bisogna rinunciare alla vita (intesa come piacere e utile immediato, come autoaffermazione attraverso il successo, il potere sugli altri, il possesso delle cose). Gesù fa alcuni esempi. Il matrimonio non deve essere vissuto come coincidenza di due egoismi, ma come dono reciproco incondizionato, cosa che esclude ogni divorzio, e come superamento dell'egoismo di coppia nell'apertura ai figli e alla società. Le ricchezze servono per aiutare gli altri. L'autorità deve essere esercitata come un servizio.

Un proverbio ebraico dice che nemmeno in sogno si può vedere un elefante passare attraverso la cruna di un ago. Gesù si diverte a riformulare il proverbio. I discepoli restano comunque colpiti, perché ritengono che le ricchezze siano un aiuto, non un impedimento. Dinanzi al loro smarrimento, Gesù dice: certo, nessun uomo è libero veramente e può auto-salvarsi! La libertà e la salvezza nascono dall'incontro con lui e dalla sua sequela. Pietro e i discepoli già stanno vivendo questa esperienza, perciò esclamano: chissà come sarà grande la nostra felicità! Gesù lo conferma. Ma lo testimoniano anche le mille storie di chi già sperimenta la misura del centuplo, soprattutto in gioia e in libertà, due prodotti che scarseggiano molto nel grande mercato del benessere.

Anche il giovane ricco pensava che la vita eterna consistesse nel fare qualcosa in più, invece Gesù gli dice che l'avrebbe ottenuta lasciando tutto. Fatto sta che per tutti la salvezza è dono gratuito del Padre. Non si può meritare o pretendere: è grazia.

Cosa c'è di più dei comandamenti di Dio? La libertà e la povertà. La libertà da tutto e da tutti; la povertà – che è l'altro nome della libertà – nel senso del dono radicale e definitivo di se stessi. Può sembrare una cosa impossibile – una contraddizione in termini (comandamenti e libertà) – perfino da afferrare e comprendere, ma non "nei pressi di Dio". E proprio "presso Dio" bisogna andare e verificare se ci sono persone che hanno lasciato tutto e tutto – moltiplicato per cento volte – hanno ricevuto in cambio dall'amore di Dio. Ne conoscete di persone così? Ce ne sono molte. Sono i discepoli del Signore, innumerevoli e in ogni epoca. Liberi e gioiosi, come Francesco di Assisi, Camillo de Lellis, Teresa di Calcutta, tanto per nominarne alcuni, capostipiti, a loro volta, di folle di altri uomini e donne felici di lasciare il poco che avevano e di trovare – presso Dio – il molto che neppure osavano sperare e immaginare.

All'inizio era stato il giovane ricco ad attirare l'attenzione di Gesù perché lo aveva riconosciuto come "Maestro buono" e gli si era inginocchiato dinanzi, con un gesto di grande sincerità. A sua volta, è Gesù che lo colpisce al cuore perché "fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse...". L'amore di Gesù non riduce il prezzo, non fa sconti, anzi accompagna richieste ed esigenze alte e radicali. Sarà per questo che il vangelo di oggi è accostato alla lettura dal libro della Sapienza. Per capire la parola di Gesù ci vuole la sapienza del cuore. Solo allora si potrà lasciare tutto e tutti ed essere felici davvero, senza attendersi nulla in cambio: per amore, innanzitutto ricevuto. Il punto di nascita di ogni nostro "lasciare" è l'abbraccio che uno riceve e poi ricambia. Non è mai il rovescio.

Mons Angelo Sceppacerca14 ottobre 2018
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