Domenica 21 gennaio | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 21 gennaio

Liturgia: Gio 3, 1-5.10; Sal 24; 1Cor 7, 29-31; Mc 1, 14-20Domenica 21 gennaio

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Gesù parla del mistero del tempo. E dice che esso è completo. A differenza delle grandi sapienze del mondo e della filosofia per le quali il tempo è il terribile e indistinto mantello che avvolge ogni cosa, nella rivelazione e nella fede cristiana il tempo obbedisce alla sapienza di Dio che è provvidenza e misericordia. Con Giovanni Battista finisce il tempo della profezia e dell'attesa perché viene l'ora, il presente del regno di Dio.

L'arresto porterà Giovanni alla morte (sarà così anche per Gesù), ma più profondamente significa la consegna di tutta la storia, la fede, la profezia e la sapienza dell'antico Israele a Gesù Cristo, segno e presenza del regno di Dio in mezzo all'umanità. Gesù è il compimento dell'attesa. Gesù è il protagonista assoluto del Vangelo; ne è il contenuto e l'annunciatore. I testimoni della parola possono essere rinchiusi in carcere, non la Parola che è sempre libera e annunciata.

È appena giunta notizia dell'arresto di Giovanni, il profeta cugino di Gesù, "il più grande dei nati da donna". Giovanni verrà ucciso, decapitato su richiesta di una donna (Erodiade, figlia di uno dei figli di Erode il Grande, sorella di Erode Agrippa; sposò prima uno zio Filippo e poi un altro zio, Erode tetrarca; la figlia del primo marito, Salomé, sposò un prozio, Filippo di Iturea) e per la debolezza di un tetrarca. Anche per Giovanni si rinnova la sorte del 'profeta in patria' e precede Gesù anche nel martirio: stessi nemici, stesso destino. Ma il Vangelo è scritto dopo la resurrezione di Gesù, e la resurrezione è anche il destino di Giovanni e di tutti i discepoli che seguono il Signore sulla via della croce.

Uscito di scena Giovanni, inizia il ministero pubblico di Gesù, proprio dalla Galilea, terra di tutte le genti e ponte fra Israele e il resto del mondo. Gesù, fin dall'inizio, non fa prediche morali, né offre spiegazioni filosofiche; egli chiama e invita alla conversione, al cambiamento di mente e di cuore, di occhi e di vita. Chi si "converte" e cambia la direzione dei propri passi, va dietro a Gesù. La fede cristiana è tutta qui, non innanzitutto una dottrina o una pratica, ma una relazione personale con Gesù, una sequela in risposta ad una chiamata. Non è forse per questo che il Cristianesimo, fin dalle origini, fu chiamato "cammino", "via"?

Dinanzi all'enormità del compito dei discepoli - la molta messe e tutti i pesci dell'oceano - e nonostante il loro piccolo numero, Gesù consegna loro la propria missione e li invia in tutto il mondo. Ciò che Gesù ha detto e fatto, gli apostoli continueranno a dire e a fare, perché la missione è unica, quella del Padre che manda il Figlio e quella del Figlio che manda i suoi a trasmetterla nel tempo e nello spazio. L'identità del discepolo e la sua vocazione sono congiunte: la vocazione si realizza nella missione, in quanto figlio di Dio, ogni discepolo è chiamato ad estendere la fraternità universale. Se Gesù è il primo apostolo, la Chiesa tutta è apostolica perché fatta da figli che si sentono - tutti - inviati ai fratelli.

Tutti noi, "pescati" dall'amore di Dio nell'abisso della paura e dello smarrimento, diventiamo a nostra volta pescatori-di-uomini come Pietro e Andrea, come Giacomo e Giovanni. Il racconto di queste due chiamate è emblematico di ogni vocazione: inizia con Dio che viene incontro e termina con noi che andiamo dietro a lui. Al centro dei due movimenti c'è l'incontro, l'esperienza dell'amore di Dio che ci raggiunge nella nostra vita quotidiana, ordinaria, e la trasforma in una sorta di "nuova creazione" perché la sua parola - chiamandoci - torna a crearci. Ecco perché non importa assolutamente quel poco che si deve lasciare.

Mons Angelo Sceppacerca21 gennaio 2024
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