Commento al Vangelo
5 maggio - VI Domenica di Pasqua
Liturgia: Atti 8,5.8.14-17; 1Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Siamo ancora nel periodo pasquale, ma alla vigilia dell'Ascensione e della Pentecoste. Gli apostoli, dopo alcuni anni di vita in comune con il Signore e, soprattutto, dopo gli avvenimenti di Pasqua, sanno che non possono più vivere senza di Lui. Non sempre hanno capito Gesù, ma hanno sempre sentito di appartenergli. Ora, nella stanza del cenacolo, luogo testimone della grande liturgia che ha preceduto il calvario e dell'incontro con il risorto, sentono parole di addio e avvertono il pericolo di un cambiamento. Parole come "orfani", "abbandonati", "non mi vedrete più" turbano gli apostoli. Ancora una volta viene loro chiesto di andare oltre la logica umana e di aver fiducia – fede – in Gesù. Lui non vuole una separazione, ma una vicinanza più grande. L'intimità resta e il legame non viene interrotto. Il salto è notevolissimo: il dono dello Spirito Santo, lo Spirito di Dio, ci fa più che "vicini". Ci fa intimi della Trinità, ci porta in Dio stesso. Avvolti dall'amore del Padre che si è pienamente manifestato nel Figlio eterno, viviamo dello stesso spirito di unità e di comunione.
Per arrivare su questa cima, che dà le vertigini della vita spirituale, Gesù stesso indica la condizione: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti". La frase è composta in modo speculare: l'osservanza dei comandamenti è la prova dell'amore; ma è vero anche: l'amore è la prova dell'osservanza dei comandamenti. Mai più le due cose separate, anche perché il "primo" dei comandamenti resta l'amore, l'amore di Dio e l'amore del prossimo. Anche il nome di Dio è Amore, lo Spirito di Amore.
Il grande teologo russo Sergej Bulgakov, nell'opera Il Paraclito, scrive: "Non avendo lo Spirito, lo bramiamo, languiamo per ottenerlo. Senza di lui, tutta la nostra epoca storica freme per i brividi della morte". Lo Spirito, il consolatore, cura i brividi di paura con le sue carezze sull'anima. Riferendosi proprio al brano del Vangelo di questa domenica, Bulgakov aggiunge: "L'ultimo discorso terreno di Cristo espone il mistero trinitario e glorifica la santissima Trinità: è la meraviglia delle meraviglie, il vangelo dei vangeli, la parola più dolce di Gesù dolcissimo".
La Chiesa viene da Dio. Vive e si rigenera ogni giorno, nella fede e nella carità, in virtù dello Spirito Santo che la sostiene e la guida. È la promessa di Gesù: "Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa".
Nella storia della Chiesa non ci sono – come una certa informazione faziosa tende a far credere – solo gli scandali, le guerre religiose, l'inquisizione e le altre ombre, dovute ai peccati dei cristiani e ai condizionamenti culturali delle varie epoche. Ci sono anche meraviglie di santità, di carità, di civiltà, di opere sociali, educative, artistiche, culturali. Soprattutto nella Chiesa ci sono anche meraviglie che non si vedono direttamente in se stesse, ma solo indirettamente attraverso i segni.
Ciò che non si vede (Gesù risorto, lo Spirito Santo, Dio Padre, la presenza e l'azione divina in noi) è più importante e incomparabilmente più bello. Si manifesta indirettamente attraverso i segni straordinari e ordinari. I segni non bastano a produrre la fede, perché occorre soprattutto la luce interiore della grazia. Però dispongono a credere, rendono ragionevole la nostra adesione a Dio che si comunica a noi, adesione convinta, appassionata, fruttuosa di buone opere.
Mons Angelo Sceppacerca5 maggio 2024