Domenica 15 giugno - SS.ma Trinità | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 15 giugno - SS.ma Trinità

Liturgia: Pr 8, 22-31; Sal 8; Rom 5, 1-5; Gv 16, 12-15Domenica 15 giugno - SS.ma Trinità

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Tutto il tempo che abbiamo ancora è per ascoltare, dallo Spirito, le molte cose che Gesù ha ancora da dirci; occorre tutto il tempo perché sono cose che non siamo capaci di "portare" (il verbo della passione di morte e resurrezione nella quale dobbiamo entrare). È un giogo, sì, ma "dolce e soave" perché il peso non lo portiamo noi, ma lo Spirito Santo, il protagonista di questo vangelo nella festa della Trinità, il soccorso di Dio alla nostra debolezza.

Anche lo Spirito è discepolo, la sua sapienza ha origine nel Padre e nel Figlio e viene non di sua iniziativa, ma è mandato, chiesto dal Figlio al Padre. Anche il Figlio è modello di comunione e umiltà. Così deve essere per noi, consapevoli di piccolezza e povertà.

"Molte cose ho ancora da dirvi". Eppure la sua morte e resurrezione ci avevano già detto e dato tutto l'amore assoluto di Dio. Quello che manca è la nostra comprensione, la nostra risposta; per questo occorre lo Spirito a farci capire il non detto e a introdurci nell'indicibile. Perché capisce solo chi ama. Lo Spirito dice (ripete) quello che dice Gesù; ce lo ricorda, ce lo mette nel cuore, fino a quando diventiamo noi ricordo vivo di Cristo, figli del Padre e fratelli fra di noi. Alla tristezza dei discepoli Gesù oppone l'invito alla gioia: siate contenti che me ne vado, perché voi diventate come me, diventate figli e ricevete lo Spirito. Lo si comprende davanti alla bellezza ispirata dell'arte, come la Trinità di Rublev.

Il Padre è l'angelo seduto a destra (la sinistra per noi che guardiamo) Il suo mantello rosa lascia trasparire il blu della tunica. Dietro ha la casa, l'universo creato. È eretto rispetto agli altri due più inchinati, reclinati verso di Lui. Al centro è l'angelo immagine del Figlio, con la tunica regale di porpora listata d'oro. Dietro ha un albero, è la croce. Infine l'angelo alla nostra destra, lo Spirito vivificante con il mantello verde, il più inclinato e tenero di tutti: è il lato materno della Trinità poiché nella lingua di Gesù "ruach" è femminile, termine vicino al grembo materno e alla misericordia, alla compassione. Dietro a lui è la montagna, luogo d'incontro con la divinità, dove la terra tocca il cielo.
In mezzo, sulla tavola, c'è una coppa con un agnello sgozzato. Il nostro Dio è amore capace fino al sacrificio della vita e che ci viene dato ogni volta nel pane eucaristico: ecco l'agnello di Dio! Il tavolo ha quattro lati, ma loro sono tre. Il quarto è libero, attende noi che guardiamo, è il nostro posto.

Il vescovo teologo Bruno Forte ha spiegato come si può parlare della Trinità a partire dalla storia dell'evento pasquale di morte e resurrezione di Gesù. In questa storia si affaccia un'altra storia, quella di Dio che proprio nell'evento pasquale si è rivelato come Amore. Pensare Dio in modo trinitario (come Padre, Figlio e Spirito) significa pensare Dio dall'interno di Dio, e cioè credere al fatto che noi siamo inclusi nella Trinità grazie alla salvezza donataci dal Figlio fatto uomo e dallo Spirito che ci divinizza. Chi vuole imparare ad amare e ne cerca la forza deve tornare nella patria e nella storia eterna dell'amore, che è la Trinità. Così il poeta Kahlil Gibran: "Quando ami non dire: Ho Dio in cuore, ma piuttosto: sono nel cuore di Dio".

Anche San Agostino usava l'analogia dell'amore per accostarsi al mistero della Trinità: l'eterno Amante (il Padre) ama l'eterno Amato (il Figlio) e ne è riamato nell'Amore eternamente ricevuto e donato (lo Spirito).

L'amore è distinzione. L'amore di Dio si spinge fino ad accettare la possibilità del nostro non-amore. Questo possibile non-amore, divenuto realtà nel dramma del peccato, non lascia indifferente chi ama. L'amore diventa vulnerabile. E così amore e sofferenza risultano strettamente legati.

L'amore è unità. Il Figlio, che è presso il Padre fin dal principio è uno con Lui e ci partecipa questa stessa unità attraverso la sua incarnazione, passione, morte e resurrezione. E lo Spirito è il vincolo personale di comunione.

Lo Spirito Santo è il protagonista nel vangelo di oggi. È il soccorso alla nostra debolezza. Chiediamolo in aiuto per la nostra vita che non riesce a portare molti pesi. Chiediamolo anche come perdono per i pesi che carichiamo sulle spalle degli altri. "Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità". La verità è la relazione d'amore fra Padre, Figlio e Spirito Santo; questa è anche la nostra verità; non ce n'è altra.

Mons Angelo Sceppacerca15 giugno 2025
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