Domenica 6 luglio | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 6 luglio

Liturgia: Is 66, 10-14c; Sal 65; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12.17-20Domenica 6 luglio

Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: "Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino". Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Prima i dodici, poi i settantadue discepoli. Tutti inviati e a ciascuno Gesù dice che troverà case accoglienti e case che respingono. È previsto anche il disprezzo. I discepoli sono mandati in mitezza, segno di quello che annunciano: Pace a questa casa; Il regno di Dio è vicino a voi. I segni sono molti (andare, pregare, non portare, non fermarsi, non salutare, entrare, restare, mangiare, guarire, uscire, scuotere), poche e misurate le parole da dire. I discepoli vanno miti come agnelli, perché Gesù viene in questo modo.

L'invio dei settantadue dice la missione universale, al di là dei confini di Israele. La geografia dell'incarico corrisponde a quella di Gesù, il mondo intero. Anche la condizione, il modus operandi, – Gesù li manda a due a due – è lo stesso di Gesù: la vita di comunione è essenziale all'annuncio.

Gesù invia 72 discepoli. Non sono i "dodici" apostoli, ma semplici cristiani, discepoli appunto. E il loro numero indica le "nazioni", segno che il vangelo esce dai confini del popolo della Prima Alleanza. Apostoli o discepoli, non cambia la missione, aprono la strada e preparano l'incontro vero e proprio con il Signore stesso. Sono servi umili del Salvatore, ma la loro opera è importante, ha a che fare con la fine della storia e del mondo. Che bello pensare a Gesù che si fa aiutare da questi fratelli nella fatica dell'evangelizzazione!

Grande è il compito, ma piccoli sono i gesti; si parla della casa, della città e della mensa; del saluto che è una benedizione; del mangiare secondo le consuetudini del luogo e del rispetto delle varie tradizioni. Non sono i gesti a cambiare, ma il cuore a motivo del mistero di salvezza che viene annunciato.

La grande povertà dei missionari è detta nell'immagine degli agnelli in mezzo ai lupi; è la fisionomia cristiana del testimone perché somiglia alla grande debolezza di Cristo sulla croce. La prima parola dell'annuncio è: pace, dono essenziale di Dio tra cielo e terra e di tutto e di tutti. Dentro l'annuncio della pace c'è il regno di Dio fattosi vicino.

I 72 "tornarono pieni di gioia". Gioia dei discepoli e del Signore che, alla fine, si mostra come beatitudine consegnataci perché siamo Suoi. È questa beatitudine che ci insegna a rallegrarci, mostrandoci di cosa si può gioire, anche nei tempi della prova. Non è una contentezza effimera; si affianca alla sconfitta dei demoni - le potenze del male e della morte - vinti dall'azione dei cristiani che però nasce tutta nella grazia dall'alto (i loro nomi sono scritti nei cieli). La gioia è grande perché il Signore ci ha salvati, ma è anche ardua, più della carità. Per questo madre Teresa diceva alle sue suore che non basta fare il bene; bisogna farlo con gioia.

In questo vangelo comanda la gioia: tornarono pieni di gioia; rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli: Più avanti c'è Gesù che esulta nello Spirito Santo e infine la beatitudine degli occhi che vedono ciò che voi vedete. Dalla gioia del successo sui demoni che scappano a quella più profonda della figliolanza divina (il posto vicino al Padre). Infine la gioia è di Gesù, che in lui si fa preghiera di lode al Padre. La meraviglia è che questa gioia la provano solo i piccoli, quelli poveri. Altro che semplice appello morale! Nella piccolezza c'è nascosta la perla preziosa, il grande dono di Dio. La gioia riporta all'inizio del vangelo di Luca, all'annunciazione quando l'angelo invitava Maria a gioire.

La gioia è cosa difficile, meno faticosa è la carità. La gioia è ardua, come la piccolezza. Vi entra chi è convinto che proprio la piccolezza è la cosa più desiderabile.

Il confronto fra gli agnelli e il lupo è un programma; dice che la strada è in salita, fatta di sacrificio e di augurio di una pace diversa da quella del mondo perché nasce dalla vittoria della vita sulla morte, dopo un crudo combattimento. E il rischio della sconfitta è possibile. Lo 'scontro' fra agnelli e lupi non è un incidente occasionale, ma la fisionomia cristiana dell'evangelizzatore.

L'insegnamento di Gesù è rivolto alla gioia, ad accrescerla, a farla profonda, vera, potente da sottomettere i demoni. Questa è la gioia dello stesso Gesù, riconoscente al Padre perché preferisce i piccoli e la occulta ai colti. I primi sanno che tutto è grazia; i secondi presumono di meritare.

Un altro mondo. È quello in cui vivono i santi, rispetto al nostro che crediamo il solo possibile. Quello ha Dio come signore e padre e tutti semplicemente fratelli; il nostro, invece, si mostra sempre meno come il giardino dell'inizio, mentre la lotta a sopraffarsi pare una tara ereditaria. I santi sono semplicemente i discepoli-operai della vigna del Signore, donne e uomini di ogni tempo e luogo, così come li ha voluti il Maestro: non si presentano come single, ma come piccole comunità vive, vere famiglie "dove due o tre"; somigliano agli agnelli, piuttosto che ai lupi; non li riconosci dalla borsa (sono portavoce, non portaborse), ma dai piedi impolverati e dalle mani callose di servizio; lì dove mettono piede e cuore, portano e lasciano la pace che prima hanno ricevuto; condividono il pane e il vino della mensa che li accoglie.

"Quelli di Cristo", i cristiani, trovano case che li accolgono e case che non li accolgono; in conto hanno messo anche il disprezzo. Sono tutti missionari: settantadue sta per moltitudine, dice la missione evangelica in proporzione universale, al di là dei confini di Israele; perciò la messe è sterminata, ben più ampia delle folle dinanzi a Gesù. I discepoli, soprattutto, si riconoscono perché guariscono i malati, di dentro e di fuori, e cacciano i demoni, senza rimanerne avvelenati. Tutta la paga dei discepoli è nella gioia di esserlo e di appartenere non tanto a questo, quanto a un altro mondo, appunto.

Essere come agnelli in mezzo ai lupi non è una dolorosa eventualità, ma la descrizione della fisionomia ordinaria dell'essere cristiani. Essere piccoli e deboli, povero di mezzi e di protezioni, non è un buon consiglio spirituale; è la manifestazione di Cristo e della sua croce che salva e cambia il mondo perché cambia il nostro cuore.

La buona notizia va portata di casa in casa, da famiglia a famiglia, per questo la prima parola è "pace" e chi la pronuncia ne è figlio. Annunciare la pace è anche giudizio, perché segna chi l'accoglie e chi la rifiuta; il discepolo si scuote la polvere dai sandali perché neanche un granello di odio è sopportabile al Vangelo.

I discepoli son felici per un dono ricevuto, non per il merito dell'impresa. Ora sanno che il loro nome è scritto in cielo, si sentono prediletti del Padre che li pone accanto a sé e questa è la ragione della loro potenza nei confronti del mistero del male. Il primato è sempre di Dio e della sua grazia.

I settantadue siamo tutti noi venuti dopo i Dodici.

Mons Angelo Sceppacerca6 luglio 2025
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