Ogni foglia morta che cade dall’albero ci fa scorgere un pò più di cielo (Fu-Che-Yen) | Diocesi di Trivento

Riflessioni

Ogni foglia morta che cade dall’albero ci fa scorgere un pò più di cielo (Fu-Che-Yen)

Ogni foglia morta che cade dall’albero ci fa scorgere un pò più di cielo (Fu-Che-Yen)Una foglia, osservata a occhio nudo, non è che una semplice foglia; osservata al microscopio ottico, appare come l'articolazione viaria di una grande città, scrutata al microscopio elettronico, si presenta come qualcosa di talmente infinito e complesso da non potersi definire. C'è in essa, infatti, una vera perfezione geometrica, nelle sue infinite venature, una apparente simmetria che la rende assolutamente affascinante. Se si considera ogni persona umana, essa ci appare piena di limiti e di difetti, ma quando l'osserviamo con gli occhi della fede, vi puoi scoprire le grandi meraviglie di Dio. Non esistono due foglie uguali: esse, nemmeno nella loro caduta inevitabile, eppure così inesorabilmente lenta e dolcemente aggraziata, non sono mai identiche l’una all'altra...

E noi, che cosa siamo? Siamo, forse, come foglie che cadono in autunno, prima accarezzate e poi strappate, con forza, e portate via... dal vento!

Si, è possibile apprezzare una similitudine con la nostra vita: il paragone con le foglie d'autunno è azzeccato; già Ungaretti, in modo lapidario, aveva scritto: Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. E’ quindi vero che, se il vento di primavera, quello della giovinezza, ci sfiora dolcemente e delicatamente ci accarezza, il vento d’autunno, quello della vecchiaia, ci strapazza, ci spazza via e noi, immancabilmente, finiamo in terra, nel fango.

Io, se al vento mi devo abbandonare, non sarà mai a quello delle illusioni, dei sogni infranti, delle false speranze, degli amori mai sbocciati… Ma al vento dello Spirito sì, a questo vento mi voglio abbandonare, l’unico Vento che mi fa vivere intensamente la bellezza della primavera ed è in grado di ravvivare ogni giorno in me il calore dell'estate, il fuoco dell’eterno amore.

Quante foglie morte, già, ricoprono a mucchi i marciapiedi, come spenti ricordi o sterili rimpianti, sotto i passi frettolosi della gente, irrigidita dal freddo e dalla paura, invece io spero di restare ancora un po’ attaccato al mio ramo, ormai nudo, già derubato e spoglio delle foglie sorelle!

Gli alberi parlano, le foglie parlano, il vento della poesia ce ne spiega il senso del mistero. Ada Negri così invocava “fammi uguale, Signore, a quelle foglie moribonde che vedo oggi nel sole
tremar dell'olmo sul più alto ramo. Tremano sì, ma non di pena: è tanto limpido il sole, e dolce il distaccarsi dal ramo, per congiungersi sulla terra. S'accendono alla luce ultima, cuori pronti all'offerta; e l'angoscia, per esse, ha la clemenza d'una mite aurora. Fa' ch'io mi stacchi dal più alto ramo di mia vita, così, senza lamento, penetrata di Te come del sole”
.

Nessuno creda che la propria conclusione biologica sia aridamente, fatalmente permeabile alla tragedia della fine: “apoptosi” in greco vale "caduta dei petali o delle foglie". La "nostra" morte, la fine della tragedia umana, sarà la conseguenza ultima di un cambiamento, avendo anche noi cellule germinali per immortalare i nostri geni con la luce irripetibile del flusso dei ricordi, delle conoscenze, delle emozioni e quando ognuno morirà lascerà una traccia nel terreno nel quale è vissuto?

Vorrei, ma non posso restare fermo, quasi a sfidare il prossimo gelo, memore della recente florida estate, in attesa della nuova primavera che sarà partorita dal freddo purificatore dell''inverno ormai alle porte, in un magico ciclo d’eterna giovinezza

Ma godiamo ancora, finché ci è donato, di questa giovinezza, urliamo con gioia, per illuminarci d'immenso! Come afferma il giusto del Salmo 1 “come un albero che su rivi d’acqua è piantato… le sue foglie non appassiscono”, perché confidiamo nel Signore, sempre.

Grida di giubilo e non di disperazione, perché ogni foglia, prototipo della nostra vita, è come una gemma colorata, è così piena di sentimenti, di grazia e di fede, si potrà trasformare solo in un piccolo un seme, ed in particolare, nel seme di senape, quello che, sebbene sia piccolissimo e con un soffio leggero possa volare via, quando cresce diventa un albero molto grande, solido rifugio per un nido di fraterna accoglienza.

Don Mimì Fazioli

di don Mimì FazioliTrivento (CB), 28 ottobre 2008

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