“Tu prepari il frumento per gli uomini” (Sal 65,10) | Diocesi di Trivento

Riflessioni

“Tu prepari il frumento per gli uomini” (Sal 65,10)

“Tu prepari il frumento per gli uomini” (Sal 65,10)

La Parola del Signore ci accompagna in questa riflessione annuale e guida il discernimento che come comunità ecclesiale siamo chiamati a fare per identificare percorsi e mezzi affinché la terra torni a essere il luogo in cui l’uomo vive la sua relazione con Dio, secondo lo stile auspicato dal salmista: Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze… tu prepari il frumento per gli uomini. Così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. Coroni l’anno con i tuoi benefici, i tuoi solchi stillano abbondanza” (Sal 65,10-12).

Già nella nota pastorale Frutto della terra e del lavoro dell’uomo si mettevano in evidenza la situazione del mondo rurale e la sua importanza: “I paesi rurali delle zone interne, pur non concorrenziali sul piano numerico in una prospettiva puramente economica, sono invece fondamentali sul piano qualitativo e dell’equilibrio territoriale complessivo, perché custodiscono vastissime zone, la cui sicurezza permette ad altre zone, più popolose, di vivere in dignità, ricchezza e bellezza. La conservazione del territorio, affidata alle talvolta povere comunità rurali della montagna e della collina, ha un ruolo vitale per la sicurezza dell’agricoltura di pianura e per le città, attraverso il delicato equilibrio dei complessi sistemi idrogeologici ed ecologici che caratterizzano il nostro Paese” (n. 23). Oggi sono sempre più numerosi i cosiddetti “neorurali”, persone che abbandonano l’ambiente urbano per andare a vivere in campagna, pur continuando a lavorare in città. Quando la scelta dei nuovi venuti si incrocia con la positiva accoglienza da parte dei residenti, l’incontro diventa fecondo per tutti: chi già vive in campagna allarga i propri orizzonti e si confronta con culture diverse; chi arriva dalla città respira e fa propri i valori antichi del mondo rurale (cfr Frutto della terra, n. 16). La percezione di un simile incontro tra natura e uomo suppone la percezione della terra come dono di Dio, da accogliere e rendere produttivo, non da distruggere o abbandonare.

Il lavoro agricolo consente all’uomo di realizzare un rapporto diretto e assiduo con la terra: fedele al progetto originario di Dio, egli offre alla terra le sue cure e la terra gli offre i suoi frutti. È una reciprocità nella quale si rivela e si compie un disegno finalizzato alla vita, all’essere e al benessere (bene-esse) dell’umanità, allo sviluppo di tutti e di ciascuno. Ecco perché risulta oltremodo urgente riconoscere la centralità del lavoro agricolo per recuperare quel processo virtuoso che ridona la dignità di persona al lavoratore della terra nella stessa misura che ai lavoratori dell’industria e dei servizi.

Non possiamo dimenticare, insieme ad altri problemi emergenti, come il nostro Paese detenga un primato nel consumo di suolo, risorsa pregiata e di fatto non rinnovabile, non di rado oggetto di trasformazione senza una corretta pianificazione del territorio e senza controlli adeguati. Con la scomparsa del suolo e del suolo agricolo in particolare, scompaiono - per sempre - paesaggio agrario, biodiversità, imprenditorialità e aziende agricole, cultura e tradizioni rurali. Invitiamo, pertanto, i singoli cristiani e le comunità ecclesiali a vigilare in modo positivo e le istituzioni a intervenire con leggi e piani idonei alla gravità del fenomeno. Il rispetto per le “leggi” ecologiche è una sfida e un valore perché i mutati stili di vita, introducendo esigenze nuove e diverse opportunità, spesso relegano in secondo piano la programmazione per l’uso delle risorse energetiche e materiali e i controlli sullo smaltimento di rifiuti e scorie, mettendo a repentaglio l’equilibrio biologico e ambientale.

Dalla libertà dell’uomo, come segno altissimo dell’immagine divina” (Gaudium et spes, n. 17), discendono diritti che implicano una responsabilità personale che si estende a ciascuna famiglia, a ciascuna società e a ciascun Paese e che va esercitata nel rispetto del bene e dei diritti di tutti e di ciascuno. Facendosi interprete della Provvidenza divina, l’uomo è chiamato ad avere cura della creazione, perché questa serva e rimanga a disposizione di tutti.

Ancora oggi non mancano, nei confronti del mondo agricolo, forme di ingiustizia. Le economie emergenti accaparrano terre nei Paesi poveri, specialmente in Africa, espropriandone le popolazioni con la complicità di dirigenti locali. Inoltre, recano danno all’ambiente e deturpano il creato che ispira la pace e il benessere e con cui le popolazioni vivono in armonia. Occorre anche denunciare lo sfruttamento del lavoro contadino e condizioni di mercato internazionale che portano a privilegiare colture destinate all’esportazione a danno delle colture destinate all’alimentazione locale. Queste e altre situazioni comportano effetti gravissimi di ingiustizia e di squilibri sociali, fame e malattie, analfabetismo e arretratezza, spargendo semi di discordia e di guerra e rendendo i poveri sempre più poveri e dipendenti da chi ha il potere di decidere per gli altri e sulla vita degli altri. È il trionfo dell’egoismo, con la negazione della solidarietà e della verità. Dobbiamo dire che queste situazioni di ingiustizia si verificano anche in Italia, sia con l’iniqua distribuzione del valore aggiunto a danno degli agricoltori lungo le filiere agroalimentari, sia con riferimento al lavoro nero. Di fronte all’infedeltà devastante dell’egoismo si pone la Parola divina, che rivendica la signoria di Dio sul mondo e l’universale destinazione dei beni della terra. Da questa solidarietà dovrà nascere, in particolare, un rapporto con i fratelli migranti che ne rispetti davvero la dignità personale. Tale disposizione interiore sa scorgere nel volto del fratello bisognoso l’immagine e la somiglianza divina e riconosce che molta ricchezza dei Paesi ricchi deriva dallo sfruttamento della terra e delle persone dei Paesi poveri.

La solidarietà sarà monca, specialmente verso i popoli poveri, se non si riconosce che l’impatto dell’immigrazione extracomunitaria è oggi uno dei fattori importanti e decisivi per il mantenimento stesso del mondo agricolo. Questo fenomeno invita a un’apertura nuova alla mondialità, portando a misurarsi con il cammino ecumenico e con il dialogo interreligioso, in vista di una rispettosa integrazione sociale e culturale nelle nostre comunità (cfr Frutto della terra, n. 16).

Assumiamo, come singoli e come comunità, la responsabilità di maturare in una mentalità rinnovata, che sappia fare del ringraziamento non solo il risultato delle nostre azioni, ma la base da cui partire per rendere giustizia all’opera straordinaria del Creatore, ma anche all’uomo stesso, secondo le parole dell’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate: “Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e viceversa” (n. 51).

La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la paceRoma, 12 ottobre 2009

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