Domenica 25 gennaio | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 25 gennaio

Liturgia: Gn 3,1-5.10; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20Gesù ha appena saputo dell'arresto di Giovanni, suo cugino; meglio ancora, "il più grande dei nati da donna". Giovanni verrà ucciso. Anche per lui si ripeterà la sorte del "profeta in patria". E ancora una volta Giovanni precederà Gesù, questa volta nel martirio: stessi nemici, stesso destino. Ma il Vangelo è scritto dopo la resurrezione di Gesù, e la resurrezione è anche il destino di Giovanni e di tutti i discepoli che seguono il Signore sulla via della croce.
Uscito di scena Giovanni, inizia il ministero pubblico di Gesù, proprio dalla Galilea, terra di tutte le genti e ponte fra Israele e il resto del mondo.

Gesù, fin dall'inizio, non fa prediche morali, né offre spiegazioni filosofiche; egli chiama e invita alla conversione, al cambiamento di mente e di cuore, di occhi e di vita. Chi si "converte" e cambia la direzione dei propri passi, va dietro a Gesù. La fede cristiana è tutta qui, non innanzitutto una dottrina o una pratica, ma una relazione personale con Gesù, una sequela in risposta ad una chiamata. Non è forse per questo che il Cristianesimo, fin dalle origini, fu chiamato "cammino", "via"?
Dinanzi all'enormità del compito dei discepoli – la molta messe e tutti i pesci dell'oceano – e nonostante il loro piccolo numero, Gesù consegna loro la propria missione e li invia in tutto il mondo. Ciò che Gesù ha detto e fatto, gli apostoli continueranno a dire e a fare, perché la missione è unica, quella del Padre che manda il Figlio e quella del Figlio che manda i suoi a trasmetterla nel tempo e nello spazio. L'identità del discepolo e la sua vocazione sono congiunte: la vocazione si realizza nella missione, in quanto figlio di Dio, ogni discepolo è chiamato ad estendere la fraternità universale. Se Gesù è il primo apostolo, la Chiesa tutta è apostolica perché fatta da figli che si sentono – tutti – inviati ai fratelli.

Abbiamo vissuto duemila anni di Cristianesimo e ancora due terzi dell'umanità – più di quattro miliardi di persone! – non hanno mai sentito parlare di Gesù Cristo. C'è bisogno di pescatori e di operai per i campi dove biondeggiano le messi. Occorrono sacerdoti, religiosi, suore, ma anche laici insegnanti, medici, istruttori, volontari. Come deve essere il profilo del missionario, del discepolo inviato? Gli apostoli di cui parla il Vangelo di oggi, hanno caratteri, comportamenti e modi di essere diversi. Non sono né sapienti né perfetti, né dotti né pii. Si tratta di pescatori e di peccatori, uomini semplici. Li accomuna l'amore di Cristo, la sua chiamata. Chiamati a due a due – due è il principio della fraternità – si sentono anche chiamati alla fraternità con tutti gli uomini di tutti i tempi.

Tutti noi, "pescati" dall'amore di Dio nell'abisso della paura e dello smarrimento, diventiamo a nostra volta pescatori-di-uomini come Pietro e Andrea, come Giacomo e Giovanni. Il racconto di queste due chiamate è emblematico di ogni vocazione: inizia con Dio che viene incontro e termina con noi che andiamo dietro a lui. Al centro dei due movimenti c'è l'incontro, l'esperienza dell'amore di Dio che ci raggiunge nella nostra vita quotidiana, ordinaria, e la trasforma in una sorta di "nuova creazione" perché la sua parola – chiamandoci – torna a crearci. Ecco perché non importa assolutamente quel poco che si deve lasciare. Il Vangelo oggi parla di due coppie di fratelli per ricordarci che la chiamata è alla fraternità universale. Figli di Dio, siamo fratelli fra noi. In tempi "notturni" torna la domanda di Isaia (21,11): "Sentinella, quanto resta della notte?". E la sentinella: "Viene il mattino... convertitevi!". La notte finisce quando vedi un uomo e riconosci che è tuo fratello.

Gesù manda i suoi discepoli nel mondo a predicare e a guarire. Due cose che sono una perché si tratta di annunciare la vicinanza di Dio e renderla credibile col calore di un amore che risana le ferite della vita. Come gli apostoli, anche noi non siamo dotti, né pii, ma peccatori e uomini semplici. Ciò che ci unisce è la chiamata del Figlio, per il resto siamo e dobbiamo restare cattolici, cioè universali, aperti a tutti. E per questa missione ogni mestiere va bene. Tanto tutti dobbiamo imparare a "pescare uomini".

Angelo Sceppacerca

Mons Angelo Sceppacerca25 gennaio 2009
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