Domenica 3 agosto | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 3 agosto

Liturgia: Qo 1, 2; 2, 21-23; Sal 89; Col 3, 1-5.9-11; Lc 12, 13-21Domenica 3 agosto

Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: "Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!". Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?". Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Nella parabola un fratello maggiore, valendosi del diritto del primogenito, non vuole spartire l'eredità con il minore. Gesù, interpellato, si rifiuta di far da giudice, ma va alla radice del problema, indicando l'ingordigia dei beni come causa prima delle liti familiari e dei conflitti sociali. E racconta la parabola del ricco agricoltore al termine della stagione col suo monologo tragicomico, perché si considera proprietario della sua vita con tutti i beni che, a suo parere, ne sono fondamento e garanzia. Il velo dell'illusione è squarciato da una voce: stolto! «Stolto» nella Bibbia è chi nega Dio o lo disprezza. «Sapiente» è chi accumula tesori non per sé, ma davanti a Dio.

L'avidità è condannata, non l'abbondanza, perché a questa aggiunge l'imbroglio e la prepotenza. Non c'è posto per Dio quando l'anima è abbrancata dall'avidità; al massimo è l'idolo a governare pensieri ed emozioni. La pena per l'uomo avido è la solitudine e la sua disgrazia sta nel fatto che non arricchisce davanti a Dio, non ha relazione né vita di comunione. La sciagura del ricco è di morire solo, lontano da Dio e lontano dagli uomini.

Cosa c'è nell'eredità? Un padre che è Dio e tutti gli uomini ricevuti come fratelli. Non ci sono cose, ma doni, grazia di essere figli di Dio. Più che i beni, vale colui che dona, il Padre. Avidità, dominio e potere sono fuori dall'eredità, appartengono alle cose che muoiono in mano, nel corso di una notte. L'uomo ricco "ragionava fra sé", non si metteva al cospetto di un Altro, il "sé" era il primo di tutti i suoi possessi, l'io era il suo tesoro.

Felicità e vita lunga non vengono dalle ricchezze. C'è da fare i conti con l'incognita della morte. Nessuno è padrone della propria vita, neppure del proprio raccolto. Il problema portato dall'uomo della folla è occasione di insegnamento per tutti. Ciò che divide i fratelli è proprio ciò che dovrebbe unirli: i beni che sono doni di Dio per la condivisione. Questa è la causa di tutte le guerre, di tutte le lotte e di tutte le inimicizie. Dimenticando il Padre, gli uomini litigano per la roba.

I beni condivisi fanno vivere e danno gioia perché arricchiscono le relazioni; invece soffocano quando sono accumulati per paura della morte. L'imbecillità è quando ci si sente soddisfatti di averli e non si è mai provata la gioia di un dono.

La morte arriva e chiede di restituire la vita. Allora vuol dire che l'abbiamo avuta in prestito da Dio. Questo vangelo ci aiuta non solo a cambiar modo di vedere le cose, ma innanzitutto la nostra vita. Siamo tenuti a restituirla, continuamente, a chi ce l'ha data. Il modo migliore e più gratificante è quello di condividerla con gli uomini e le donne della folla. Facendolo li riconosceremo per quello che sono: fratelli e sorelle.

Il vangelo sull'uso dei beni, delle ricchezze e delle risorse, dice che la cosa importante è arricchire davanti a Dio. Soprattutto, però, pone la grande domanda sulla solitudine esistenziale. Fuori dalla comunione, col Padre e con i fratelli, l'uomo è colpito dal male di vivere. Con lui tutto è dono, come passeri nelle sue mani, dove contano perfino i capelli del capo. Lontani da lui è divisione, da noi stessi, più che eredità da dividere. È estraneazione, solitudine. L'uomo ricco più che avaro è solo, parla con la sua anima, in grande solitudine, come in una scena tragica di teatro. L'opposto del "Padre nostro".

Il ricco è un ateo, perché schiaccia l'essere e al suo posto mette l'avere. Mounier lo chiama uomo artificiale: "mano e mascella, come un quadro di Picasso".

Mons Angelo Sceppacerca3 agosto 2025
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