Domenica 6 Settembre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 6 Settembre

Liturgia: Is 35, 4-7a; Sal 145; Gc 2, 1-5; Mc 7, 31-37Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Gesù, per andare da Tiro in Galilea passa per Sidone. Non è certo il tragitto più breve, ma l’evangelista Marco ci vuol dire che Gesù, missionario del Padre, visita tutti i territori pagani e, in essi, tutti gli uomini in attesa di salvezza. Gesù percorre ogni strada perché ogni luogo aspetta il messia, il liberatore. Ogni luogo significa ogni uomo.

Il sordomuto guarito è anche figura della comunità dei discepoli che non ha ancora compreso chi è Gesù e che, per riconoscerlo, ha bisogno di essere “guarita” nell’ascolto e nella professione di fede.

Il sordomuto è stato condotto davanti a Gesù. Non poteva avvicinarsi da solo. Non avendo sentito ancora parlare di Lui, come poteva desiderare di incontralo? Anche a noi è successo così. Qualcuno, spinto da Dio, ci ha aperto il cuore alle parole del Signore, ci ha fatto ascoltare e poi ci ha consentito di parlare. La testimonianza – la risposta – viene sempre dopo l'ascolto, e la parola viene dopo che sono state scucite le labbra e riaperte le barriere della sordità. La guarigione del sordomuto è un miracolo faticoso, assomiglia ad un esorcismo. Il sordomuto è condotto fuori dalla folla: si trova solo di fronte a Gesù, come Adamo, il primo uomo plasmato dalle "mani" di Dio, ma non ancora divenuto "essere vivente" (cfr. Gen 2). Gesù lo porta in disparte per evitare i facili entusiasmi della folla – il miracolo non è uno spettacolo! – e perché, a sua volta, l’uomo guarito dovrà udire e professare il mistero di Gesù figlio di Dio. Gesù prima apre gli orecchi al sordo, poi pone la sua saliva sulla lingua del muto il quale, alla fine, tornerà a parlare correttamente. Gesù "fa passare" la sua potenza in quest'uomo malato: la natura è restaurata, le dita e la saliva hanno l'effetto di una "nuova creazione", il sospiro di Gesù da una parte dice la partecipazione alla sofferenza del sordomuto, dall’altro è anticipo della guarigione: "Effatà".

La strada per arrivare alla fede parte dall’apertura del cuore che fa posto al vangelo e arriva alla dichiarazione; in mezzo c’è la saliva di Gesù messa sulla lingua del muto, segno dello Spirito, soffio vitale del Salvatore: Effatà, Apriti! Il gesto della salivaè anticipo di quel Sacramento col quale il Cristo, fino alla fine dei tempi, toccherà la lingua delle sue creature che lo riceveranno, l’Eucaristia.
Il sordomuto risanato è figura della nostra fatica di arrenderci alla fede. Come per il sordomuto, anche la nostra fede è lenta da pronunciare. Ci vuole il gesto di Gesù, il suo sospiro, il respiro dello Spirito di Dio. Se c’è un insegnamento da cogliere nel vangelo di questa Domenica, è la coscienza di essere muti, al massimo balbuzienti: non solo abbiamo un’idea distorta di Dio, ma anche quando abbiamo pensieri buoni e dei propositi giusti, a questi non corrisponde il modo di vivere. Come per il balbuziente, la parola pensata non corrisponde alla parola detta. Così per noi la fede non corrisponde alla realtà che viviamo.

Gesù comandò di non dirlo a nessuno. Esattamente il contrario di quello che di solito facciamo dopo aver fatto il bene. Se proprio vogliamo dire qualcosa, da raccontare è soprattutto il bene che abbiamo ricevuto, quello fatto da Dio. Quello che conta, però, è che Gesù ha guarito il sordomuto e può guarire anche la nostra balbuzie.
La sola parola di Gesù riportata in questo miracolo è “Effatà”, che vuol dire: “Apriti!”. Gesù la pronuncia in aramaico, la lingua di casa, quella che usava per farsi comprendere dalla sua gente. Noi, oggi, sappiamo parlare un linguaggio evangelico comprensibile a tutti? Ho partecipato alcune volte alla liturgia per i sordomuti. Ci sono persone che con i segni e i gesti “traducono” tutto nel loro linguaggio. Per dire “Dio” uniscono le mani, per tradurre “amore” si tocca il cuore, per indicare misericordia e soccorso si allargano le braccia e poi si riuniscono come nel gesto dell’abbraccio. E loro, gli uomini e le donne privi della parola e dell’udito, non sono emarginati, ma protagonisti. Il fondatore della Piccola Famiglia per i sordomuti, don Giuseppe Gualandi, il prossimo l’ha riconosciuto e ci si è chinato sopra. “Effatà, disse Gesù al sordomuto. Apriti!”. E’ un ordine del Signore che vale per tutti, perché ad ognuno si riaprano, con gli orecchi e la bocca, anche gli occhi e il cuore.

Angelo Sceppacerca

Mons Angelo Sceppacerca6 settembre 2009
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