Domenica 25 Ottobre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 25 Ottobre

Liturgia: Ger 31, 7-9; Sal 125; Eb 5, 1-6; Mc 10, 46-52E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Raramente il vangelo riporta il nome di chi riceve un miracolo. Stavolta c’è anche il nome del Padre, Timeo e il luogo, Gerico. Gesù è in viaggio dalla Galilea verso Gerusalemme, lascia Gerico per andare incontro al destino che lo attende nella città santa. Per tre volte annuncia che sta andando non verso un trionfo terreno, ma verso l’umiliazione, la passione e la morte, alle quali seguirà la risurrezione. Ribadisce insistentemente che chi vuole andare con lui ed essere suo discepolo, deve cambiare radicalmente il suo modo di pensare e di agire.

Gesù aveva fatto alcuni esempi fondamentali. Il matrimonio da vivere non come coincidenza precaria di due egoismi, ma come superamento dell’amore incurvato su di sé nel dono reciproco e incondizionato, che esclude ogni possibilità di divorzio, e come superamento dell’egoismo di coppia nell’apertura ai figli e alla società (Mc 10,1-16). Le ricchezze da possedere con libertà di cuore e impiegare per aiutare gli altri (Mc 10,17-27). L’autorità da esercitare non come dominio, come un servizio (Mc 10,41-45). Infine l’evangelista Marco racconta la guarigione del cieco di Gerico, come ultimo miracolo di Gesù prima della sua passione. Nella Chiesa antica questo brano di vangelo veniva letto nella catechesi che precedeva il battesimo, per raccontare come avviene il passaggio dalle tenebre del peccato alla luce della vita in Cristo, grazie alla fede. C’è da prestare ascolto a questa pagina, come ha fatto Bartimeo, e avvertire la presenza di Gesù che sta passando vicino.

Anch’io sono come Bartimeo, cieco, seduto a mendicare. Bartimeo non cammina, non ha una meta, sta fermo, seduto sul ciglio della strada, a mendicare. Eppure non disperava di incontrare qualcuno che mettesse luce nella sua vita. Per questo era attento e ascoltava, con l’udito sensibile dei ciechi. Percepisce la presenza di Gesù il taumaturgo Nazareno di cui ha sentito parlare. Forse è Gesù la grande occasione, allora si mette a gridare con tutto con tutta la forza che ha, senza alcuna vergogna. Molti si risentono e gli intimano di tacere, ma egli grida più forte ancora: Figlio di Davide, abbi pietà di me! E la sua fede fa fermare Gesù.

Gesù si ferma e Bartimeo salta in piedi, getta via il mantello e gli va incontro, anche se ancora non vede. E Gesù, dinanzi a quel grido – “Rabbunì, che io veda di nuovo!” – ridona la vista mostrando da dove viene la salvezza: “La tua fede ti ha salvato”. La fede, ossia la fiducia di Bartimeo in Gesù. L’uomo che era cieco e seduto è diventato un discepolo, uno che segue Gesù. Il risanamento degli occhi è simbolo del nuovo sguardo di fede che consente di vedere la realtà in modo diverso.

Gesù, aiutaci ad avere uno sguardo di fede per imparare a valutare le cose secondo il vangelo: la vita come dono che si riceve e si condivide, senza essere noi il centro del mondo; il matrimonio come dedizione reciproca degli sposi e come dedizione ai figli e alla società; i beni economici come strumento di fraternità e solidarietà; l’autorità come servizio.

Angelo Sceppacerca

Mons Angelo Sceppacerca25 ottobre 2009
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