Terza Domenica di Pasqua | Commento al Vangelo

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Terza Domenica di Pasqua

Liturgia: At 5, 27b-32.40b-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19Terza Domenica di PasquaSiamo alla fine del vangelo di Giovanni, con le apparizioni del risorto prima del suo ritorno al Padre. Gesù non finisce di stupire. Di più: alla fine viene ancora il meglio, come nel miracolo di Cana quando – alla fine del banchetto degli sposi – il vino “offerto” da Gesù è semplicemente “il migliore”. Gesù risorto torna, anche fisicamente, dalle parti di Cana in Galilea, e appare sul lago di Tiberiade ai discepoli che di nuovo avevano tentato di pescare senza prendere nulla. Ancora il gesto miracoloso di una pesca strepitosa. Gesù riempie quella rete oltre ogni desiderio. Tanto era il pescato che sette pescatori di professione non la potevano tirare su con le loro forze. Solo allora lo riconoscono. Il primo è Giovanni, ma non osa dirlo. Però lo dice a Pietro che si butta a nuoto per raggiungerlo e incontrarlo. Gesù li aspetta a riva e mangia con loro, poi ha un colloquio tutto particolare con Pietro.

E’ condizione frequente quella di non riconoscere il Signore. Dalla tempesta sul lago ai discepoli di Emmaus, i discepoli si sperimentano soli per stanchezza o scetticismo. Maria di Magdala al sepolcro piange e non riconosce Gesù perché lo cerca “fra i morti”. Tommaso non crede perché non gli basta la testimonianza degli altri, si è isolato. A Pietro, probabilmente, ciò che più pesa è la coscienza dolorosa del tradimento e non osa una nuova confidenza come quando tentava lui pure di camminare sulle acque e si accorse che affondava. E di nuovo il Signore interviene, lo chiama per nome e lo rinnova del tutto: lui che non riesce a condurre neppure se stesso, dovrà condurre tutti i discepoli e confermarli col suo ruolo di fondamento e di roccia che nessun evento potrà mai scuotere. Pietro ha bisogno di molto perdono, per questo può amare di più. Tale è il primato di Simone, il figlio di Giovanni (Gesù lo chiama con il nome suo e di suo padre, come all’inizio).

Segue, per tutti, l’invito a mangiare (ma anche il compito di andare al largo di un mare più vasto ed ampio). Un gesto fondamentale per gente che ha lavorato tutta la notte. Il pasto è preparato da Gesù stesso e da quel momento in ogni angolo del mondo risuona l’invito a nutrirsi del pane vivo disceso dal cielo, il solo capace di sostenere i “pescatori di uomini”, specie quando sono scoraggiati. A loro la domanda dell’inizio, che risuona fino alla fine: “mi ami tu?”. Gesù usa la stessa parola (agapas)che indica l’amore originario e gratuito con il quale Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Gesù si fida a tal punto di quei pescatori da chiedere loro un amore come quello di Dio. E la sicurezza di Pietro non è presunzione, perché fondata su quel “tu sai tutto” di Gesù. Pietro ancora non sa che morirà per Gesù nell’anno 64, sotto l’imperatore Nerone, crocifisso a testa in giù, divenuto finalmente come il maestro, come il Pastore bello che sa dare la vita per le piccole pecore perdute.

Angelo Sceppacerca

Mons Angelo Sceppacerca18 aprile 2010
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