Domenica 12 Settembre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 12 Settembre

Liturgia: Es 32, 7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1, 12-17; Lc 15, 1-32Domenica 12 SettembreQuello di Luca è un vangelo pieno di gioia. Anche oggi inizia con una bellissima notizia: i peccatori si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo. Al contrario di scribi e farisei. Sarà per via di quella sola pecora cercata e delle altre novantanove lasciate nel deserto. Il paradiso è tutto qui, in un peccatore che si accosta al perdono del padre ed entra nella festa del ritrovamento. Alla gioia di Dio e degli angeli si unisce, finalmente, anche quella della pecorella che si era persa. Ora manca solo la nostra gioia per essere sempre cercati e ritrovati dal Signore.

Il figlio maggiore, frustrato dall’eccessiva misericordia del padre verso il fratello cacciatosi da solo nella sciagura, è perfetta figura di quelli che non erano contenti di Gesù – scribi e farisei – per il suo rapporto coi peccatori. La presunzione di essere migliori ci intestardisce nel non voler entrare in casa per unirci alla festa.

Più che i figli, il vero protagonista è il padre nei confronti di entrambi. Noi siamo i figli, un po’ il minore e un po’ il maggiore. Entrambe queste figure di peccatori che portiamo nel cuore devono tornare al padre ed entrare nella sua gioia per somigliargli. Clemente d’Alessandria, per far capire con quale amore Dio ci ama, dice: “Dio è Padre, ma la tenerezza con cui ci ama lo fa diventare madre”.

Il grande quadro di Rembrandt (cm 262x206) raffigura il padre che accoglie il figlio tornato. È bellissimo fin nei dettagli. Impressionanti le mani del padre poste sulle spalle del figlio, inginocchiato di fronte a lui: una è di uomo, robusta, l’altra di donna, più sottile. L’amore del Padre è paterno e materno insieme, perché la misericordia ha bisogno di entrambi i cuori. E’ il momento decisivo: il figlio, vestito di stracci logori, è in ginocchio dinnanzi al padre, dopo averne mangiato le sostanze. Il padre lo accoglie con gesto affettuoso e protettivo. Sulla destra, osserva la scena il figlio maggiore, sullo sfondo due figure non identificate. Noi che guardiamo siamo all’altezza del figlio pentito, forse nella stessa condizione, certamente con identico bisogno. Le mani del Padre misericordioso non sono uguali, una è maschile ed una femminile. Dio è tutto, padre e madre. I suoi occhi sono quelli di un cieco. Il Padre, per amore, li ha consumati nel guardare l’orizzonte in attesa del ritorno del figlio. Fra tante, le parole di Agostino: “Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è insoddisfatto fino a quando non riposa in Te”. Un Dio così, scrive Chiara Lubich, “desidera vedere il suo figlio tutto nuovo, non vuole più ricordarlo come era prima; e, non solo lo vuole perdonare, ma arriva persino a dimenticare il suo passato. Questo è il suo amore per lui, nella parabola. Così è l’amore del Padre per noi nella vita: ci perdona e dimentica”.Mons Angelo Sceppacerca12 settembre 2010
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