17 Aprile - Domenica delle Palme: passione del Signore | Commento al Vangelo

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17 Aprile - Domenica delle Palme: passione del Signore

Liturgia: Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mt 21, 1-11 - Mt 26, 14-27, 6617 Aprile - Domenica delle Palme: passione del Signore Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma.
I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

Il lungo viaggio verso Gerusalemme sta per finire. Dopo Gerico mancano le ultime due tappe: Betfage e Betania. Gesù manda due discepoli a prendere un puledro per entrare in Gerusalemme sul suo dorso. Quella di Betfage è simbolo della regalità mite e pacifica di Gesù, contestata e rifiutata. Nei tempi antichi il puledro d’asina era cavalcatura dei principi, dei re. Gesù afferma di esserlo e tale entra nella sua città. Il cavallo è per la guerra, espressione di potere e forza, non di pace e mitezza. Questo re che entra in Gerusalemme conquisterà i popoli con l’infinita umiltà di cui parla Paolo ai cristiani di Filippi (seconda lettura). Servo umiliato che si prepara a soffrire violenza, Gesù non possiede neppure un asino, ne ha bisogno! Presto salirà il trono della croce per essere il principe della pace.

La gioia dei discepoli che lo accompagnano assomiglia a quella di Zaccheo e del cieco nato, che avevano riconosciuto la vera natura di quell’uomo, mentre contrasta con la reazione dei farisei, scandalizzati da chi lo acclama Messia. I farisei non contestano i discepoli, ma la regalità di Gesù, come prima lo avevano criticato per essere andato da Zaccheo. Gesù è contestato fino alla morte, ma saranno persino le pietre a rendergli testimonianza.

Gerusalemme è la vigna del Signore, luogo delle nozze tra Dio e il popolo, le nozze con l’umanità, ma anche luogo dell’uccisione del figlio, l’erede. Ancora una volta si scrive la totale diversità del Cristo da tutti i re della terra. Gesù arriva nel centro del mondo e nel cuore della storia, raccogliendo in sé tutte le contraddizioni e le ferite, le speranze dell’umanità e del cosmo. Finalmente, al termine del lungo viaggio, il Messia giunge a Gerusalemme, la Città santa, figura di Israele identificata da una donna, da una sposa e da una figlia.

La poesia e la preghiera di padre Turoldo ci accostano alla folla di Gerusalemme per unirci alla grande e festosa accoglienza di Gesù e ricambiare, in qualche modo, quello che egli ha fatto e ci ha donato.

Io vorrei donare una cosa al Signore
ma non so che cosa.
Non credo più neppure alle lacrime,
e queste gioie sono tutte povere:
metterò un garofano rosso sul balcone
canterò una canzone
tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte
e abbraccerò gli alberi
e starò in ascolto dell’usignolo,
quell’usignolo che canta sempre solo
da mezzanotte all’alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume
e all’alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: “pace!”
e poi cospargerò la terra
d’acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell’universo,
poi non lascerò mai morire
la lampada dell’altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco.

Mons Angelo Sceppacerca17 aprile 2011
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