30 Dicembre - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe | Commento al Vangelo

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30 Dicembre - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Liturgia: ISam 1, 20-22.24-28; Sl 83; 1Gv 3, 1-2.21-24; Lc 2, 41-5230 Dicembre - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe A dodici anni il pellegrinaggio di Gesù a Gerusalemme per la festa di Pasqua si conclude con lo smarrimento e il ritrovamento al terzo giorno, misteriosa prefigurazione della sua futura morte e risurrezione. Se ne può dedurre che i lunghi anni della vita nascosta a Nazaret siano attraversati da un certo doloroso presentimento. È ciò che vuole dirci il quadro di Zubaran.

Lo spazio interno di una stanza, scandito da oggetti semplici, familiari, dove si svolge nella quiete e nel lavoro la vita di ogni giorno. Gesù adolescente, che indossa una veste violacea chiara, si è ferito un dito intrecciando una corona di spine e, colpito dal doloroso presagio, guarda assorto e triste una goccia di sangue. Maria, che indossa una veste rossa, ha sospeso il lavoro di ricamo e osserva il Figlio con malinconia e profonda mestizia. Vicino a lei le due colombe ricordano la profezia di Simeone: “A te una spada trafiggerà l'anima” (Lc 2,35).
Gesù cresce con la consapevolezza della passione che lo attende e con la volontà di donarsi totalmente agli uomini, senza tirarsi mai indietro, costi quello che costi.

Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui»: armonioso sviluppo fisico e spirituale. A dodici anni, durante il pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa di Pasqua, stupisce i maestri del tempio per la sapienza delle sue domande e delle sue risposte. Più ancora sorprende i suoi genitori con la sua risposta: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Maria e Giuseppe non capiscono il senso di queste parole; ma avvertono che Gesù non appartiene a loro; egli vive per il suo vero Padre che è Dio e si pone totalmente a servizio del misterioso disegno divino; in futuro forse dovranno perderlo ancora; intanto gli sono vicini in atteggiamento di meditazione e adorazione.

Come Maria e Giuseppe, anche i genitori devono accompagnare i figli con amore rispettoso della loro personalità e della loro vocazione. Un accompagnamento attivo, che propone loro, con i gesti concreti del vissuto quotidiano, i valori che rendono umano l'uomo: essi non hanno bisogno solo di cibi, vestiti, medicine, inserimento sociale; ma anche e soprattutto di verità e di significati che rendono la vita bella e degna di essere vissuta. Vanno aiutati a passare dall'amore ricevuto all'amore donato, a sperimentare che è bello fare il bene, pregare, essere onesti, sinceri, giusti, generosi, umili, sobri, casti, laboriosi, coraggiosi, pacifici. Occorre saper dire sì o no al momento giusto e di comune accordo tra padre e madre. Motivare i divieti; correggere cercando di persuadere. Evitare l'autoritarismo, che crea i ribelli e i pusillanimi, e il permissivismo, che crea i deboli e gli egoisti.

L'arte di educare, perché rivolta allo sviluppo della persona, è più nobile delle varie arti che creano capolavori per il nostro senso estetico. Ed è forse un'arte più difficile, che non si finisce mai di imparare. Come Maria e Giuseppe, l'amore dei genitori non sia possessivo, ma disinteressato. Aver cura dei figli come di un dono che è stato affidato e che va restituito. «Non vengono da voi, ma attraverso di voi; e, benché con voi stiano, non a voi appartengono. Potete dare loro il vostro amore, non i vostri pensieri: hanno i pensieri propri. Potete dare alloggio al loro corpo, non alla loro anima, perché l'anima loro dimora nella casa del domani, che voi non potete visitare, neanche in sogno» (K. Gibran).Mons Angelo Sceppacerca30 dicembre 2012
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