Commento al Vangelo
25 marzo - Domenica delle palme
Liturgia: Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mc 14, 1-15, 47La prima lettura è il canto del Servo del Signore, profezia di Gesù e del suo compito mai separato dalla sofferenza e, allo stesso tempo, dalla fede certa nel Padre. È l'eletto al servizio della Parola di Dio e, come fu per il profeta Geremia, riceve in cambio maltrattamenti e angosce. Un'esistenza di dolore che mai, però, ha potuto prosciugare il mare di fiducia nel Signore.
La sua vita è sempre sotto la parola, fin dal mattino. Il Servo di Jahvé è l'inviato, il messaggero, ma prima di tutto egli stesso è discepolo della Voce. Non è lui a disporne; è la Parola a modellarne l'esistenza. E quando arriva il dolore egli non scappa, non fa resistenza, non si ribella come Geremia, ma accetta tutto, si abbandona nelle mani del Padre. E il Padre non tarda a rispondere.
La seconda lettura è uno dei più antichi inni del Nuovo Testamento e Paolo lo incastona per dare profondità alla vita della comunità fatta d'amore, di umiltà e disinteresse. L'inno della lettera ai Filippesi è il racconto dell'esistenza di Cristo che prima si abbassa annientandosi per poi innalzarsi e risorgere. Gesù è l'opposto del primo uomo. Adamo, creato a immagine di Dio, aveva preteso farsi uguale a Dio tentando di rapinare la condizione divina. Gesù, al contrario, pur avendo la condizione divina, non ne è geloso, ma la vive come dono, nell'abbassamento del suo farsi uomo.
Le immagini sono di grande forza: l'incarnazione è uno svuotamento e la condizione umana assunta è quella del servo al livello più basso: lo schiavo. Gesù ha scelto di vivere nell'umiltà, nella povertà e nel servizio. È venuto per servire e il suo chinarsi è fino alla morte umiliante in croce.
Il Padre riabilita ed esalta il Figlio umiliato: i titoli che erano riferiti al Padre ora sono del Figlio, compreso lo stesso nome di Signore (kyrios) con cui gli ebrei greci traducevano il nome di Jahvé, il nome che è al di sopra di ogni nome. "Gesù è il Signore" è la confessione di fede dei cristiani.
Il vangelo. Termina il viaggio verso Gerusalemme. Gesù vi entra a dorso di un puledro d'asina, segno di un potere ottenuto attraverso la mitezza, il servizio e il dono di sé. L'entrata trionfale è anche giudizio contro la città incredula ma alla quale si dà ancora una possibilità perché si converta e riconosca il Messia che sta venendo non come un dominatore, ma come re mite e liberatore.
La liturgia di oggi inizia con il trionfo dell’ingresso a Gerusalemme e prosegue con il racconto della passione e morte di Gesù sul Calvario. Le palme e la croce, l’acclamazione “Osanna” e il grido “Crocifiggilo!”. Perché questo accostamento? Gesù aveva annunciato che la croce è il prezzo da pagare per risorgere. Che nella croce debba vedersi il disegno divino, è puro atto di fede. E di questo mistero Gesù stesso portò tutto il peso nell’orto del Getsemani dove si riscontrano quelli che i medici chiamano i “sintomi da panico”: sudorazione di sangue, desiderio di fuggire, paura di morire, caduta a terra, angoscia.
La spiegazione è in un mistero ancora più profondo, l’amore di Dio. Un amore che portò Gesù laddove il suo cuore non lo avrebbe voluto portare, ma quando capì, nell’orto degli ulivi, che l’amore gli chiedeva questo andare fino in fondo, “fino alla fine”, non si tirò indietro, anche se sudava sangue. Ecco perché nel suo corpo squarciato si squarcia anche il velo del tempio che celava il volto di Dio. Guardando al crocifisso Giovanni dice: Dio è amore.
Questa Domenica ci presenta Gesù, ponendo la processione delle palme – che è il segno liturgico del trionfo del Signore – come introduzione al racconto della sua passione. “Dio non è venuto a spiegare la sofferenza: è venuto a riempirla della sua presenza”, scriveva Paul Claudel. Custodiamo questo tesoro dentro il nostro soffrire e dentro il dolore del mondo.
Gesù non ci invia nel mondo come testimoni della croce, ma come testimoni della sua resurrezione, di un amore così grande – “fino alla fine” – da vincere ogni morte. Si cercano testimoni di questo tipo.
Mons Angelo Sceppacerca25 marzo 2018