29 aprile - Quinta di Pasqua | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

29 aprile - Quinta di Pasqua

Liturgia: At 9, 26-31; Sal 21; 1Gv 3, 18-24; Gv 15, 1-829 aprile - Quinta di Pasqua

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Dopo la similitudine del pastore e delle pecore, il Vangelo di questa domenica ci presenta quella della vite e dei tralci. Cambia l’immagine, ma non i termini del rapporto: noi e Gesù. E’ vero, si tratta di una similitudine, di un paragone, di una immagine, ma il tutto contiene e rivela (nel senso che svela, ma anche nel senso che copre, perché il mistero delle cose di Dio supera ogni nostra immaginazione) qualcosa di più profondo e di più vitale: come i tralci alla vite, anche i discepoli del Signore sono legati a Lui – e al suo corpo che è la Chiesa – in vera simbiosi. Nel senso che noi non possiamo vivere senza di Lui. Tutto qui. Nientedimeno che questo. Le cure che il contadino ha per la sua vigna – l’innesto, la pulizia, la potatura, la cura del frutto – sono solo una pallida immagine della cura amorevole che il Signore ha per ognuno di noi. Solo Dio può amare ognuno come fosse l’unico.

L’immagine della vite e dei tralci è formidabile anche per un altro motivo. Se il tralcio è unito alla vite, vive e porta frutto, nel senso che dà senso alla propria esistenza. Ma c’è di più: è anche unito vitalmente agli altri tralci. Avendo radici profonde – come quelle della vite – nell’amore di Dio, anche tra di noi si innesta un rapporto di agape, di carità reciproca. La linfa vitale di ogni essere è l’amore: amore che viene, amore che va: è la comunione piena, è l’esperienza cristiana che, dal tempo di Gesù e degli apostoli, è sempre un “mettere tutto in comune”. In tempi di globalizzazione, dove sono soprattutto le merci ad essere in rete nel mercato globale, il cristianesimo corregge il tiro perché accoglie la sfida e aiuta tutti a passare da una vita comune ad una vita in comune.

Oggi si parla di tralci, di vite e di grappoli. Qualche pagina prima Gesù aveva fatto il paragone con il chicco di grano caduto a terra e che, proprio perché muore porta frutto. Parlava di sé. Oggi parla dei discepoli, ma la legge è la stessa perché, staccati da lui, non possiamo fare nulla.

Una pagina che contiene una rivelazione trinitaria. Il Padre è l'agricoltore, il Figlio è la vite, lo Spirito Santo è la linfa nella Trinità e nel cuore dei discepoli, che sono i tralci. C'è anche una rivelazione ecclesiale ed eucaristica: il primo frutto della vite è l'Eucaristia della nuova alleanza nel sangue di Gesù. Gli altri frutti li portano i discepoli che lo seguono, umili e gioiosi operai nel grande campo del mondo, dove la messe è abbondante.

Mons Angelo Sceppacerca29 aprile 2018
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