1 novembre - Tutti i Santi | Commento al Vangelo

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1 novembre - Tutti i Santi

Liturgia: Ap 7, 2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3, 1-3; Mt 5, 1-121 novembre - Tutti i Santi

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Gesù guarda le folle, come prima i pescatori. Davanti ha una moltitudine povera e bisognosa di salvezza che lo sta seguendo. Guarda le folle, ma parla ai discepoli che gli si sono avvicinati. Lo sguardo alle folle ora è per loro, ma dovranno ricordare la destinazione universale del Vangelo.
Gesù ha davanti le folle venute da ogni parte per ascoltarlo perché lui guarisce dai demoni e dalle malattie; toglie il diabolico e risana dai mali che ne vengono. Gesù parla "sul monte", il luogo vicino a Dio e dove tutto si realizza. Sul monte calvario Gesù dirà: tutto è compiuto. Sul monte delle beatitudini Gesù siede ed è il Maestro. Siede da maestro, "vede le folle" e capovolge tutti i criteri del mondo.
Inizia il grande discorso della montagna, riferito al monte su cui si trovano e Gesù sembra rivolgersi a tutti quelli che s'incontreranno con lui, in ogni tempo e in ogni terra dove sarà annunciato il Vangelo.

Si dice "le Beatitudini", perché nove volte torna la parola "Beato". Non è un merito conquistato, ma un dono di Dio che raggiunge l'uomo e lo fa nuovo. Le beatitudini sono l'indice della vita cristiana perché mettono insieme il dono di Dio e il volto profondo della vita cristiana. Nove parole da chiarire, illuminare e spiegare. Ci vuole una vita intera, molte vite. Ci vuole la vita di tutti i santi per spiegare il grande segreto del Figlio di Dio che le incarna tutte.

Siamo davanti all'immensa Assemblea dei Santi e degli Angeli nella gloria celeste (prima lettura). Incalcolabile assemblea di comunione, di vita e di gioia stracolma. È la destinazione: per i Santi che ci hanno preceduto; per noi che siamo in cammino. Il Vangelo ci indica la via per arrivarci.

Nove parole date a noi. Sono il cammino di vita di ogni credente e della Chiesa. Sono il volto dell'uomo nuovo proposto da Dio, ma indicano anche il giudizio di Dio sul mondo e il senso della storia umana. Stanno bene oggi, festa di Tutti i Santi.

Non basta una vita per comprendere la bellezza delle beatitudini, l'essenza di essere figli, la bellezza del povero quando si pensava che la ricchezza fosse benedizione. Se questa è la beatitudine, dobbiamo chiedere al Signore di farci entrare nel mistero della povertà. La ricchezza di Dio è relazione. E questa è anche la nostra ricchezza.

Il regno dei cieli è degli anawìm ruà, i poveri in spirito, gli umili. All'inizio e alla fine delle beatitudini c'è il presente. Il regno è già loro. Già ora. La prima beatitudine - beati i poveri in spirito - è la proclamazione di un valore nuovo, la realtà dell'uomo che è figlio. Tutto riceve da Dio e nulla possiede. Siamo fatti da Dio e tutto è dono. Le altre beatitudini scaturiscono dalla prima.

Oggi è la festa della gioia dei Santi; immensamente più grande di quanto possiamo immaginare. Possiamo solo averne un vago presentimento attraverso le esperienze di meraviglia, di amore e di gioia che qualche volta ci capita di fare e che restano frammenti: il cielo sereno, la città di pietre preziose, il giardino, il convito, le nozze, la festosa liturgia, il canto.

Festa difficile, quella di oggi, in un contesto culturale chiuso in un orizzonte solo terreno, sprangato alla trascendenza. Si vive come se Dio non ci fosse, illudendoci di inseguire il piacere, la ricchezza, il potere, il successo. È come essere in un treno dimenticando di viaggiare e, soprattutto, di dove stiamo andando. Sì, perché anche noi siamo attesi in Paradiso.

Mons Angelo Sceppacerca1 novembre 2019
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