Domenica 31 maggio - Pentecoste | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 31 maggio - Pentecoste

Liturgia: At 2, 1-11; Sal 103; 1Cor 12, 3-7.12-13; Gv 20, 19-23Domenica 31 maggio - Pentecoste

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Le prime parole di Gesù ai discepoli che si erano nascosti per paura sono queste: "Pace a voi". Non un augurio, ma un dono, Gesù dona la pace. Nella sua "pace" c'è tutto quello che occorre all'uomo, alla sua felicità. E il motivo lo si legge nelle sue mani e nel suo fianco, nei segni dell'amore, con il quale Gesù ha dato la vita per i suoi. Stavolta è stato il pastore a dare la vita per le pecore.

Dai discepoli la pace deve raggiungere l'umanità intera. Dopo esser stato lui l'inviato del Padre, ora Gesù manda i suoi a prolungare l'offerta della propria vita. Per farlo hanno bisogno dello stesso amore del Figlio e per questo Gesù comunica loro lo Spirito Santo. Il peccato del mondo si toglie seminando lo Spirito Santo sulle persone.

Cancellare i peccati non è un potere di alcuni su altri, ma è una capacità, una responsabilità per tutti i discepoli che, uniti fra loro nella comunità, devono essere come la luce che splende nelle tenebre, come i fuochi che illuminano la notte.

Pentecoste è la Pasqua compiuta! Da questo momento il vento dello Spirito porterà i discepoli sino agli estremi, quelli geografici e quelli del coraggio, rendendoli capaci dell'inaudito: perdonare i peccati. Vanno a tutti perché gli uomini e le donne, sotto tutti i cieli, hanno bisogno proprio di questo: misericordia e perdono. Perché il vecchio Pietro oserà spingersi fino a Roma? Perché Paolo rischierà ogni cosa spostandosi di paese in paese? E gli altri apostoli fino ai confini allora sconosciuti? Perché lo Spirito aveva acceso in loro un amore più forte d'ogni legame e della loro stessa vita. Perché in Cristo ci apparteniamo reciprocamente e si supera ogni estraneità. Il regno del Padre che si annuncia è quello dell'amore misericordioso e i sacramenti della Chiesa offrono il perdono e rinnovano tutti i gesti della vita cristiana.

Il soffio di Gesù è un gesto simbolico, ricorda il "soffio" di Dio, che dà la vita all'uomo. Perdonare è ridare vita.

Molte sono le manifestazioni dello Spirito: un soffio potente, una presenza nuova, una fiamma che brucia e infonde coraggio. La tradizione spirituale ha distinto sette doni dello Spirito, nessuno frutto dell'opera umana, perché tutti fondati sulle virtù teologali della fede, della speranza e della carità. I sette doni – sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio – sono i frutti dell'amore e conferiscono una sorta di istinto per le cose divine. Rappresentano l'ingresso nella vita mistica, nella vita dell'anima unita a Dio.
La sapienza fa gustare e vedere quanto è buono il Signore. L'intelletto dà il senso delle realtà della fede, ce ne dà una sicurezza amorosa e ce ne fa percepire la bellezza. Il consiglio è l'amore che ci rende attenti a capire come comportarci per essere figli di Dio. La fortezza è la sopportazione e la fermezza calma nelle prove; è la mitezza dell'Agnello immolato e vincitore. La scienza dona l'istintiva capacità di distinguere il bene e il male, percependo la nostra piccolezza e che tutto è nelle mani di Dio. La pietà ci dice fino a che punto Dio è nostro Padre e va amato al di sopra di tutto. Il timore di Dio è la percezione della nostra piccolezza dinanzi alla sua maestà e ci rende docili spingendoci nelle sue braccia: è lo spirito di infanzia di santa Teresa di Gesù Bambino.
Ma il frutto dello Spirito è anche amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Il frutto dello Spirito ha la pienezza saporita e feconda di una vita che ha raggiunto la propria maturità dinanzi a Dio e agli uomini.

Oggi, come al tempo di Gesù, avvertiamo il bisogno di confessare i nostri peccati? Ne sentiamo vergogna? La consapevolezza dei propri peccati è la prima esperienza dell'incontro con Dio. Lo diceva già san Agostino: "Chi confessa i suoi peccati e se ne accusa, è già d'accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati, e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio". La remissione dei peccati è l'opera più grande che compie la Chiesa, su mandato di Cristo. Veri profeti, come don Milani e don Mazzolari, che pure avevano provato la ruvidezza di un rapporto gerarchico non proprio paterno, alla domanda di chi si chiedeva come mai non avessero lasciato la Chiesa, rispondevano: non potremmo mai, abbiamo bisogno di chi ci perdona i peccati. Agostino, addirittura, rovescerà le posizioni per affermare, deciso: "Dov'è la remissione dei peccati, là è la Chiesa". Pascal con finezza descrive il dialogo con Dio: "Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti perderesti d'animo. – Allora mi perderò d'animo, Signore, se me li rivelerai. – No, tu non ti dispererai, perché tu li conoscerai nel momento stesso in cui ti saranno perdonati".

Mons Angelo Sceppacerca31 maggio 2020
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