Domenica 13 settembre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 13 settembre

Liturgia: Sir 27, 33-28, 9; Sal 102; Rm 14, 7-9; Mt 8, 21-35Domenica 13 settembre

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Il Vangelo di questa Domenica chiude il cosiddetto "discorso ecclesiale" di Matteo iniziato con il conferimento, a Pietro, delle "chiavi del regno dei cieli". Pietro chiede spiegazioni su come deve essere esercitato il potere delle chiavi. All'epoca i dottori della legge ritenevano che un peccatore potesse essere perdonato per tre volte. Pietro, avendo visto come agiva Gesù, fa una proposta ardita: perdonare "fino a sette volte"?. Gesù risponde con un numero – settanta volte sette – che significa, di fatto, "sempre". Nel passo parallelo di Luca (17,4) si parla del perdono quotidiano. Combinandolo col Vangelo di Matteo risulta che ogni giorno dobbiamo perdonarci settanta volte sette: ogni tre minuti!

Restiamo ancora nei dati della parabola. Il re è il Padre, ma è anche il solo che può possedere una cifra così sproporzionata: 10.000, infatti, è la cifra più grande espressa in lingua greca, e il talento è la misura di peso maggiore (circa 36 Kg). Il valore di un talento è pari a 6.000 giornate lavorative: per saldare un simile debito uno dovrebbe lavorare quasi 200.000 anni! Se poi dovessimo trasportare diecimila talenti di metallo prezioso, occorrerebbero 360 furgoni (ognuno con 10 quintali): una colonna di circa 3 Km!

Con queste cifre si comprende meglio, allora, come la giustizia del Figlio che introduce nel regno del Padre sia ben diversa e infinitamente superiore a qualunque giustizia umana. Quella di Dio è la giustizia di chi ama e di chi si sente in debito verso tutti perché tutto misura sul proprio rapporto con Dio e, prima ancora, sul rapporto che Dio ha con noi. La riconciliazione che offriamo all'avversario, l'accoglienza che riserviamo ai piccoli, la ricerca del bisognoso, la correzione fraterna del colpevole, il perdono donato al nostro debitore, sono tutti atteggiamenti modellati – e anticipati – dal rapporto che Dio stesso ha con noi. La giustizia di Dio non ristabilisce una fredda parità, perché la sua è la disparità della misericordia dove l'amore sovrabbonda il peccato. La misura di questo amore senza misura è dato proprio dal Figlio crocifisso per amore. E il Padre ci vede suoi figli proprio nel Figlio unigenito.

Da sola, una pagina di Vangelo come questa, basterebbe a far decidere a divenire cristiani, a vincere ogni resistenza ideologica all'ultimo passo verso la conversione. Perché questa non è una semplice pagina di etica, che si limita a dire cosa è bene fare e non fare, ma di ontologia, perché dice chi è Dio e chi siamo noi.

Avvicinandosi la Pasqua, il Vescovo Agostino diceva ai cristiani di Ippona: "Fratelli, che non ci sia disaccordo fra voi. E' possibile che voi pensiate in fondo al cuore: Voglio fare la pace, ma è mio fratello che mi ha offeso: e non ha chiesto scusa! Perché chiedere scusa a qualcuno che non hai offeso? Tu sii solamente pronto a perdonare colui che ti ha offeso, totalmente pronto, e con tutto il cuore. Ma ti rimane ancora da pregare per tuo fratello, perché ti chieda scusa... Così potremo celebrare la passione di colui che non deve nulla a nessuno e che il mondo intero ha offeso. E' lui che dobbiamo prendere come testimone".

Come si fa a vivere il perdono? E con chi iniziare? Iniziare con i vicini, in famiglia, sul lavoro, a scuola... L'istinto ci indicherà i difetti degli altri, la memoria il loro passato ... Occorre un occhio nuovo e la capacità di accettarli sempre, come una madre che non rinnega mai i suoi figli. Ecco, perdonare è come generare l'altro dentro di sé, ridargli vita. E non per fare una bella figura, ma per sanare noi stessi da quell'odiosità del servo malvagio e, soprattutto, scampare dalla giustizia divina: "Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello". Se non c'è misericordia, ci sarà giustizia. Il modello del settanta volte sette è descritto da Gesù nell'ultima cena, prima della sua passione: "Non c'è amore più grande di chi dà la vita per gli amici". Il modello è Gesù e il "padrone", in realtà, è il Padre che perdona settanta volte sette.

Mons Angelo Sceppacerca13 settembre 2020
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