Commento al Vangelo
Domenica 14 febbraio
Liturgia: Lv 13, 1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10, 31-11, 1; Mc 1, 40-45In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Una fede forte, convinta, quella del lebbroso che chiede la guarigione. Più potente ancora la determinazione di Gesù: "E subito la lebbra scomparve". In risposta alla quasi-provocazione del lebbroso ("se vuoi puoi purificarmi"), il Signore si mostra ben capace di compiere ciò che vuole, anzi non solo interviene sulla malattia (la lebbra), ma anche la sua dimensione spirituale (lo stato di "impurità"). Proprio questo aspetto spiega la riservatezza assoluta che Gesù esige dall'uomo purificato dalla lebbra unitamente all'indicazione di presentarsi al sacerdote secondo le disposizioni dell'antica legge. Da quel gesto salvifico di Gesù, ogni altro "malato" nel corpo e nello spirito potrà trovare nel Signore guarigione, salvezza e santificazione, anche quando mancasse la guarigione fisica. Anzi, la stessa malattia è chiamata a essere segno e via della croce e della pasqua di Gesù.
Il lebbroso è l'emarginato per eccellenza. Perfino il Levitico, contenente le leggi di Mosè e le prescrizioni per il popolo, al capitolo "lebbrosi" stabiliva che questi gridassero "Impuro! Impuro!" per impedire a chiunque di accostarsi. La lebbra è ripugnante perché sfigura e storpia. Coperti di stracci, anche sul volto, i lebbrosi si annunciavano con campanacci portati addosso. Un muro si frapponeva fra i sani e i colpiti (per molti anche colpevoli!) dalla lebbra. E Gesù? Trasgredendo la prescrizione, non solo si accosta, ma addirittura li tocca! La presenza di Gesù abbatte il muro di separazione.
La storia dice che sono stati quelli di Cristo ad occuparsi per primi dei lebbrosi. Fra i tanti esempi è ben conosciuto l'episodio con protagonista Francesco d'Assisi, giovane e pieno di vita. E un giorno, a cavallo, ne incontra uno nei pressi di Assisi. Ne provò ripugnanza istintiva, ma non volendo venir meno all'impegno di diventare "cavaliere di Cristo", balzò di sella e, mentre il lebbroso gli stendeva la mano per ricevere l'elemosina, Francesco gliela diede, ma lo baciò anche.
Il lebbroso non era un maledetto da Dio. La Bibbia non lo dice. Gesù stesso per amore si fece come un lebbroso e un maledetto, condannato a morte infame. Lo aveva intravisto il profeta Isaia contemplando il servo di Iahvé: "Non ha apparenza né bellezza... disprezzato e reietto dagli uomini... come uno davanti al quale ci si copre la faccia... e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato".
Francesco d'Assisi, quello che più gli somiglia, i lebbrosi li ha baciati. Certo, non da subito. All'inizio, "la sola vista dei lebbrosi gli era così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani".... Mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Se lo fece non fu per auto-costrizione ma perché innamorato di Dio. Infatti lo fece con il cuore: "Poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo aver dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca".
Gesù impone il silenzio al lebbroso perché non è coi segni straordinari che si conduce alla fede. Il vangelo si diffonde se c'è qualcuno disposto a salire su una croce. A guarire, prima ancora che il male dell'altro, devono essere i nostri occhi, capaci di riconoscere, in ogni altro, un fratello.
Mons Angelo Sceppacerca14 febbraio 2021