Commento al Vangelo
Domenica 8 ottobre
Liturgia: Is 5, 1-7; Sal 79; Fil 4, 6-9; Mt 21, 33-43In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!". Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
"La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo;
questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi"?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Un uomo, dice la parabola, ma si tratta di Dio. E fa tutto perché la vigna produca il meglio, fidandosi degli operai come di persone di famiglia. I vignaioli, invece, si mostrano sfrontati e malvagi, al punto di pensare di uccidere il figlio per sostituirlo nell'eredità. Contro la speranza del padre i vignaioli compiono il gesto definitivo pagato prima dalle violenze contro i servi. Dopo l'uccisione del primo servo nessun padrone ne avrebbe mandati altri, invece quest'uomo ha una pazienza infinita e alla fine addirittura manda suo figlio. È un padrone che non è di questa terra. È Dio, il Padre.
Resta l'uccisione del figlio. Che non è solo parte di una parabola, ma storia vera, storia di Pasqua, di morte e resurrezione, storia delle meraviglie che Dio compie attraverso una storia tragica. Quella di Dio è davvero un'altra parabola rispetto alle nostre storie. Gesù è la pietra scartata, l'erede cacciato dalla vigna e ucciso fuori da Gerusalemme. Una nuova comunità di discepoli-operai nascerà dalla sua Pasqua. Il figlio amato è il figlio mite e inerme, inviato non per suscitare sentimenti di paura, ma di pentimento del cuore. La sua espulsione dalla vigna e la sua uccisione sono il richiamo alla crocifissione e morte di Gesù fuori dalle mura di Gerusalemme. Nella pietra scartata divenuta angolare c'è il segno di grazia della risurrezione di Gesù e della nascita di un nuovo popolo. La testata d'angolo è la pietra più solida di un edificio; è quella che tiene in piedi insieme due muri. È Gesù che tiene insieme i due popoli.
La storia dell'umanità è tutta in una breve parabola, con un omicidio al culmine di ripetute infedeltà, ingiustizie, ambizioni. È questo, spesso, il nostro modo di rispondere al bene degli altri e all'amore di Dio. Pensiamo di essere noi i padroni e invece tutto quello che abbiamo lo riceviamo in dono.
Con le parabole Gesù provoca i capi del popolo a comprendere che è giunto il momento dei frutti: Dio chiede conto della sua vigna. Dopo aver rifiutato i profeti, hanno ancora un'occasione per accogliere il Figlio. Contro la speranza del padre ("Avranno rispetto per mio figlio!") i vignaioli decidono di uccidere l'erede per impadronirsi della vigna. Siamo alle radici del mistero di Dio e dell'uomo, tra la sua volontà di donarci ogni cosa e il nostro istinto a fare del dono una preda. La morte del Figlio, fatta vedere come un crimine premeditato, darà la svolta alla storia.
Il giudizio è chiesto a chi ascolta; Gesù semplicemente lo esplicita. Il regno di Dio non viene tolto al popolo d'Israele, ma ai sommi sacerdoti e ai farisei ("capirono che parlava di loro"), e sarà dato "a un popolo che ne produca i frutti", il nuovo Israele nato nella Pasqua del Crocifisso risorto, il figlio prediletto, il frutto più bello, principio di tutti quelli che verranno. La profezia sul destino dei vignaioli omicidi, con cui si chiude la parabola, si compì esattamente trentacinque anni dopo, quando Tito distrusse la vigna.
Siamo ad ottobre, mese missionario. Anche il Vangelo chiede qualcosa in più. L'intelligenza spirituale della parabola dobbiamo concentrarla su queste idee: il Regno di Dio, il popolo che lo avrà in dono, i frutti da produrre. Agostino, il vescovo di una chiesa che o era missionaria o scompariva, diceva in una omelia: "Venga il tuo regno. Lo chiediamo o non lo chiediamo, verrà ugualmente. Dato che il regno di Dio non ha principio, non avrà nemmeno mai fine. Ma affinché sappiate che facciamo questa preghiera per noi e non per Dio, noi saremo il suo regno se credendo in lui faremo progressi con la sua grazia. Tutti i fedeli, rendenti con il sangue dell'unigenito suo Figlio, saranno il suo regno".
In fondo, essere missionari è proprio questo: portar frutti di vita nuova, crescere e allargare i confini del popolo nuovo nato sotto le braccia del crocifisso. Gesù è l'erede che, "fuori" da Gerusalemme, viene messo a morte. Eppure una nuova comunità di discepoli nasce dalla Pasqua del Signore.
Mons Angelo Sceppacerca8 ottobre 2023