Commento al Vangelo
Domenica 7 luglio
Liturgia: Ez 2, 2-5; Sal 122; 2Cor 12, 7-10; Mc 6, 1-6Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Il Vangelo di Marco ha una sua logica, un suo disegno dispiegato nell’arco di alcune sezioni. La precedente terminava con la reazione delle autorità che volevano uccidere Gesù. Ora se ne chiude un’altra col rifiuto dei suoi concittadini e dei suoi parenti. Non c’è solo il rifiuto di Gesù da parte del suo popolo; c’è anche quello dei credenti in Lui. E’ l’eterna cecità dell’uomo di fronte al mistero di Gesù che è scandalo per i giudei e follia per tutti i benpensanti. Gesù non trova la fede e non può compiere i segni, i miracoli; si meraviglia perfino di tanta incredulità.
L’incredulità nasce dalla delusione che la presenza di Dio si manifesta nel figlio del carpentiere, in Gesù di Nazareth, vero uomo. Allora come oggi non si accetta Dio nella persona concreta di Gesù. Allora come oggi, però, chi crede e ha fiducia in questo Dio gioisce proprio perché “questo carpentiere”, questo uomo rivela la potenza, la vicinanza e l’amore di Dio. Questo uomo è il crocifisso risorto e il tema dell’incredulità spinge proprio a riconoscere, nello scandalo della parola fatta carne, la rivelazione di Dio nella storia umile e concreta dell’uomo. La fede è proprio il superamento dello scandalo.
Dopo le autorità che vogliono uccidere Gesù, ora sono i concittadini e i suoi parenti a rifiutarlo. Il dubbio ha contagiato persino i credenti in Lui. Il mistero di Gesù è scandalo e follia per ogni uomo che, fuori dalla fede, è cieco. Senza la fede Gesù non compie i segni, i miracoli, meravigliandosi egli stesso di tanta sfiducia nei suoi confronti.
Lo scetticismo incredulo non concepisce la presenza di Dio in Gesù di Nazareth, figlio del carpentiere. L’effetto di tale atteggiamento è l’insoddisfazione atea (la grande eresia dello gnosticismo), allora come oggi: la persona di Gesù non ha a che fare con Dio. Eppure oggi come allora, chi crede e si fida di questo Dio esulta perché proprio questo carpentiere svela la potenza, la prossimità e l’amore di Dio. Gesù è il crocifisso risorto, rivelazione di Dio nella storia umile e concreta dell’uomo. La fede salta l’inciampo dello scandalo.
Nell’incredulità dei nazaretani si traccia il solco che divide la folla dai veri discepoli: c’è chi rifiuta e chi si lascia cambiare dall’incontro con Gesù. La fede cristiana consiste proprio nell’accettare non solo il messaggio e le opere di Gesù, ma soprattutto la sua persona. Gesù, infatti, non è un fondatore di religione, come Mosé, Buddha o Maometto; Lui è il Signore, il Figlio del Dio vivente.
La prima eresia non fu la negazione della divinità di Cristo, ma quella che si scandalizzò della sua umanità e che nella sua debolezza crocifissa non vide la salvezza per tutti. Certo occorre la fede per adorare quella carne venduta per trenta denari, il prezzo di un asino o di uno schiavo. Nessun ebreo avrebbe mai messo in dubbio la grandezza di Dio. Ma davanti alla persona di Gesù tutti si chiedono: come può Dio esser disceso nella piccolezza? Uno scandalo che porterà Gesù alla Croce. L’accusa che lo condannerà a morte sarà la bestemmia di dirsi figlio di Dio.
Come a Nazaret, anche oggi possiamo rivivere la prima grande eresia – lo gnosticismo – quando non accettiamo il fatto che Dio sia entrato nella storia e nella carne nostra attraverso la storia e la carne di Gesù. Come a Nazaret, anche oggi si può restare stupiti dinanzi alle opere e al messaggio cristiano, e non avere fede, non comprendere come la salvezza, invece, ci ha raggiunto proprio qui e ora. La fede, da chiedere e da implorare, è giungere finalmente al cuore del mistero: l’incarnazione di Gesù, principio di salvezza. Nella storia, nel quotidiano più ordinario, il Dio eterno si fa prossimo dell’uomo.
La prima eresia non fu la negazione della divinità di Cristo, ma quella che si scandalizzò della sua umanità e che nella sua debolezza crocifissa non vide la salvezza per tutti. Certo occorre la fede per adorare quella carne venduta per trenta denari, il prezzo di un asino o di uno schiavo.
Spesso al tema dell’incredulità si associa la figura di Tommaso quando, dopo la risurrezione, chiede di toccare le ferite e di vedere la piaga. Su questo episodio, fra i tanti, il capolavoro di Caravaggio, dove la vista quasi si unisce alle sensazioni del tatto delle dita sul corpo del Signore. E’ una scena dove le figure sono ingigantite e noi entriamo quasi nel quadro. Credere per fede o toccare con mano l’ineffabile? Più forte e decisiva è la misericordia di Gesù, la sua comprensione per la nostra piccola e miope fede. Il Gesù di Caravaggio è umanissimo, scosta delicatamente il sudario in cui è avvolto, per consentire al dito di Tommaso di entrare nella piaga. La mano di Gesù guida quella dell'apostolo, la bocca sembra accennare una impercettibile smorfia di dolore, mentre lo sguardo accompagna il gesto che permette all’apostolo – e a noi oggi – di vedere e toccare Lui vivo. Il quadro di Caravaggio fece, fin dal suo apparire, una enorme impressione nella Roma di 4 secoli fa. Di quel quadro si contano 24 copie, realizzate negli anni successivi; quasi un record, per non dire che tra i copisti ci sono anche Rubens e Guercino. Qual è il fatto straordinario?
Tommaso tocca un uomo vivo, s'addentra nella carne viva. Caravaggio racconta l'accaduto, nient'altro che l'accaduto. I protagonisti della vicenda raffigurati nel quadro di Caravaggio hanno abiti contemporanei alla sua epoca, mentre Cristo ha un mantello. L'episodio accadde quel giorno in Palestina, ma proprio perché Gesù è risorto, può essere toccabile con mano, anche oggi, e in qualunque altro tempo.
Papa Benedetto commentò questo vangelo durante la preghiera dell’Angelus (8 luglio 2012) spiegando come i concittadini di Gesù, che lo conoscevano come il «figlio di Maria», il «falegname» vissuto in mezzo a loro, invece di accoglierlo si scandalizzavano di Lui. Cosa in qualche modo comprensibile perché “la familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina ... i miracoli di Cristo non sono una esibizione di potenza, ma segni dell’amore di Dio, che si attua là dove incontra la fede dell’uomo nella reciprocità”. Eppure, allo stupore dei concittadini, corrisponde la meraviglia di Gesù: “Anche Lui, in un certo senso, si scandalizza! Come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio? Gesù di Nazareth è la trasparenza di Dio e mentre noi cerchiamo sempre altri segni, non ci accorgiamo che il vero Segno è Lui, è Lui il più grande miracolo dell’universo: tutto l’amore di Dio racchiuso in un cuore umano, in un volto d’uomo”.
Così un maestro dello spirito: L’umiltà non fa concorrenza a niente. All’estremo limite della potenza, essa è la vulnerabilità di un bambino deposto in una greppia o di un giovane inchiodato su di una croce. Perché, quando nella liturgia si prega “Dio eterno ed onnipotente”, è tanto difficile ricordarsi della parola di Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre”? Non c’è un altro Dio diverso dal Padre di Gesù.
Mons Angelo Sceppacerca7 luglio 2024