Due chiacchiere a proposito di "bene comune" | Diocesi di Trivento

Riflessioni

Due chiacchiere a proposito di "bene comune"

Due chiacchiere a proposito di

Questa mattina ho notato con sommo piacere che i bordi delle strade, dal bivio di Salcito a quello di Pietracupa, apparivano ricoperti da un unico tappeto infiorato di splendidi papaveri rossi, un tripudio di colori e di profumi.

Subito, con un facilissimo, elementare gioco di parole, mi è venuto subito da pensare a quanti personaggi si spacciano per salvatori della patria, ma altro non sono che semplici, vuoti papaveri della politica. Anzi, prima di entrare in una seria riflessione, tanto per restare sul limite del faceto, mi è ritornata alla mente una accesa discussione avuta anni fa con un presidente della provincia al quale feci osservare il motivo per cui un politico di un certo peso, quando passeggia per le strade della sua cittadina, distribuisce una bella e calorosa “PACCA” sulle spalle a chiunque incontra e saluta sorridente. Perché? Chiedeva. Il motivo è semplice, alcuni politici sono gravati da quattro malattie: il “Pilatismo”, dei veri problemi si lavano sempre le mani per non correre il rischio di impopolarità; l’“Anguillismo”, al di là delle belle parole scivolano facilmente via quando devono assumersi le proprie responsabilità; il“Conformismo”, si ritrovano privi di idee originali e progetti concreti; il “Capracavolismo”, sono bravi, cioè, nella capacità di tenere il piede della politica sempre su due staffe, quella ufficiale e quella di riserva, foraggiandosi sempre a più greppie; l’“Acquiescenza”, l’adattamento immediato e tranquillo al vento delle mode e delle correnti.

Dalla politica invece noi tutti ci attendiamo anche un aiuto per risolvere una questione di fondo per la società di oggi: saper “cum vivere”, vivere insieme fra diversi, per rimettere al primo posto la dimensione morale e sociale della convivenza civile, cioè rafforzare la capacità di cogliere il bene anche nei suoi risvolti pubblici e di assumere comportamenti coerenti. La convivenza non è un dato di fatto spontaneo, un fiore di campo, ma una conquista e un compito sempre aperti, contro i quali si frappongono tanti ostacoli, piccoli e grandi, da superare, quali la diffidenza reciproca e la sospettosità che induce a considerare l'altro come potenziale nemico.

Mi viene da pensare che ci ritroviamo ancora alla fase degli itinerari ricostruttivi: è tempo di ritessere la tela lacerata di un ethos civile condiviso, la nozione di "bene comune", ossia di ciò che, superando ogni particulare, vale per tutti, è bene di e per tutti. Quindi dobbiamo scrivere una nuova grammatica, che ci guidi a condividere ciò che si ha, a cercare di reinterpretare le fatiche e i limiti della convivialità, anche attraverso un continuo e costruttivo dialogo, nel rispetto di ciò che si è

Per questo ci vuole sicuramente più trasparenza della politica, della pubblica amministrazione, dell'economia, della finanza. In altre parole possiamo, se vogliamo, lavorare per una solidarietà responsabile, fattore di integrazione e di sicurezza, cioè valorizzare la vera e piena dignità della vita umana: la vita umana, dal concepimento fino alla morte, e al di là di ogni parametro di valutazione, costituisce il bene più grande e il più sostenibile, cioè che sia tale per tutti gli uomini e per le generazioni future. Credo che in questa direzione vada anche l'attenzione ai problemi dell'inquinamento, del risparmio energetico, del contenimento degli sprechi, della conservazione delle risorse naturali, di una politica dei trasporti saggia e innovativa. Mi sembrano necessario dover favorire anche tutte quelle iniziative, espressioni delle realtà istituzionali o della società civile, che mirano alla protezione dell'ambiente.

Fondamentalmente il discorso della convivialità e del bene comune gravita attorno ad un unico, grande valore, che ritengo debba essere sempre al centro della passione politica e civile: la dignità e il rispetto della persona umana. Purtroppo oggi molti fattori concorrono a sgretolare il senso genuino dell'uomo e la dignità della persona. La fragilità dei legami di appartenenza e coesione sociale, il mito del consumo e del denaro, la prepotenza senza regole dell'economia e della tecnica, l'affermazione di presunti diritti individuali dietro cui si celano solo i capricci di un desiderio fuori controllo.

Proprio pensando alla persona e alla sua eminente dignità, la dottrina sociale della Chiesa richiede da sempre di considerare il bene comune, quale obiettivo finale dell'impegno civile e politico. Perché il bene comune non è solo l'insieme dei beni e dei servizi fruiti dalla collettività, né la semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale, ma rappresenta piuttosto la grammatica elementare dell'umano, che si sottrae al gioco delle opinioni e all’incertezza delle maggioranze variabili. Esso è da intendersi come «integrazione» dei beni, cioè dei diritti (e dei doveri), delle risorse spirituali e materiali di una società. Contrario al bene comune, e quindi da estirpare, è perciò il multiforme ripiegamento individualistico: ognuno vive il suo bene, elabora in proprio i suoi desideri e progetti di vita, coltiva i suoi interessi, fatica per il futuro suo e dei suoi stretti congiunti, ma tutto questo non è quasi mai pensato come parte di un progetto di insieme, come momento di un destino comune, come apporto a un divenire in cui la persona si esprime nella sua costitutiva relazione con gli altri, e non solo nella sua individualità.

È mia ferma convinzione che, proprio per questo, la comunità dei credenti abbia cose importanti da dire e da proporre alla comunità civile e politica, a cui peraltro attivamente e responsabilmente appartiene. Le nostre parrocchie e i centri di ascolto della Caritas, infatti, sono spesso centri preziosi e vivaci di elaborazione di una cittadinanza civile e responsabile, nonché luoghi concreti di risposta ai bisogni della persona, e specialmente dei più piccoli e dei più poveri.

don Mimì Faziolidi don Mimì FazioliTrivento (CB), 27 maggio 2008

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