Don Michele D'Andrea: un prete umano, semplice non clericale | Diocesi di Trivento

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Don Michele D'Andrea: un prete umano, semplice non clericale

Una foto di Don Michele D'Andrea

Simplex est sigillum veri: il semplice è segno e sigillo di verità. Così ammonivano i latini. Questa massima vale anche oggi e Don Michele D'Andrea, prete e parroco, l'ha testimoniato nella sua vita. Nato a Capracotta nel 1930 è tornato alla casa del Padre nel novembre 2019 e riposa nel cimitero di Capracotta, accanto ai suoi genitori. Aveva 89 anni: spesi nel servizio di quattro comunità parrocchiali, Vastogirardi, Celenza sul Trigno (Diocesi di Trivento,14 anni), Cerratina prima, poi Pescara per oltre 40 anni. "Con la preghiera, la discrezione e il sorriso che lo hanno sempre distinto".

La sua umanità, autenticamente evangelica, anche con inevitabili difetti e fragilità varie, era l'espressione di un amore che richiedeva attenzione, dono del cuore e di tutto l'essere. Ha condotto un cammino lento e faticoso, in un percorso di dedizione e di solidarietà segnato da alcune note inconfondibili che i fedeli cristiani e anche i non-cristiani hanno sottolineato e valutato. Guida semplice e saggia per chiunque lo avvicinava è stato punto di riferimento e soprattutto di fede profonda e incondizionata, in quell'impasto tra pesantezza dell'umano e leggerezza della grazia che compie meraviglie.

La prima nota è la semplicità, tenuta in quota, testimoniata e vissuta dal verbo "ricevere". La semplicità è figlia della grazia, vera sorella della sapienza, madre della giustizia. "Contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto. Il Padre Francesco la esigeva da tutti i frati". (Tommaso da Celano). In tutta verità e in piena sincerità Don Michele ripeteva: "io non mi son fatto prete da me", ho ricevuto tutto come dono dalla famiglia, dalla Chiesa, da Dio. Lo stupore per il dono ricevuto generava in lui la gratitudine e la gratitudine, a sua volta, faceva nascere la gratuità. Negli anni 1950-55 nel Seminario di Trivento erano presenti 48 seminaristi provenienti dalle varie Parrocchie della Diocesi triventina. Hanno raggiunto il Sacerdozio solo 10, quattro erano di Capracotta. Il primo era Don Michele D'Andrea, accompagnato da Don Michele Di Lorenzo, Don Orlando Di Tella e Don Antonio Di Lorenzo. Caso? Merito? Non credo, certamente dono gratuito del Signore Gesù, "semplicemente" e responsabilmente accolto, nella rinuncia e nel sacrificio, temprato dall'aspra e dura formazione del seminario, e dalla caparbia e forte origine montanara di Capracotta. "Se non sono prete da me, non posso essere prete per me! Il prete non si appartiene".  Don Michele sembra riecheggiare ciò che esprime un moderno cantautore, E. Vianello, in una delle sue canzoni di successo O mio Signore."O mio Signore, in questo mondo /io non ho avuto tanto/ eppure sono contento./ Io ti ringrazio di ogni cosa che ho avuto./Grazie per tutto quello che tu hai fatto per me".

Una seconda nota che ha caratterizzano il suo servizio pastorale di Parroco è la lotta contro ogni forma di autoreferenzialità. Essere sempre, dovunque, e con tutti "uomo della relazione": era il suo stile di uomo e di prete. Capace di vedere il volto di Cristo nel volto delle persone, il suo cuore non privatizzava il tempo e gli spazi, geloso della sua legittima tranquillità, senza mai pretendere di essere disturbato. Senza mai rendicontare le sue ore di servizio, da buon samaritano ha cercato e servito chiunque aveva bisogno. Amico "della porta accanto" che si sofferma sui problemi della vita di famiglia, ha offerto sempre spunti di soluzione rendendosi partecipe con un senso di benevola familiarità, che tutti hanno percepito, perché confidenziale e al corrente dei problemi di tutti. Le sue brevi e semplici omelie erano vere istruzioni, una sorta di catechesi formativa al senso cristiano della vita. Le sue risorse dottrinali certamente erano attinte dalla preghiera e nei lumi dello Spirito santo. Decisamente divertente quando non era serio, anche in qualche "sfuriata" caratteriale. Con quel ampio sorriso comunicava serenità, armonia, saggezza abituale, maturata negli anni e negli eventi vissuti, anche nella solitudine dei freddi mesi d'inverno a Vastogirardi e nella sofferenza della terza età a Pescara nell'accogliente convento dei Cappuccini.

Il giorno dei suoi funerali a Pescara nella Parrocchia S. Giovanni Battista, costruita con tanta cura, passione, premura e attenzione, ha ricevuto la più bella prova e attestazione di stima e ringraziamento per il suo lungo servizio ministeriale di Parroco. A Capracotta, nella Chiesa Madre dove ha ricevuto il dono dei Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e dell'Ordinazione sacerdotale, un suo parrocchiano di Vastogirardi ha offerto una chiara testimonianza del bene ricevuto da Don Michele negli studi e nella vita. E ne dato lode e offerto stima per la silenziosa prova di concreto aiuto ricevuto. Anche i suoi cugini sacerdoti, Don Michele e Don Ninotto, insieme al Parroco Don Elio, hanno reso testimonianza della sua profonda spiritualità sacerdotale, del severo e umile servizio pastorale e della viva devozione alla "Madonna di Loreto", molto venerata a Capracotta.

Una terza nota è il radicamento nel presbiterio (unità dei preti con il Vescovo nella Chiesa diocesana), per 14 anni nella Diocesi di Trivento, oltre 40 anni nella Diocesi Di Pescara. Frutto di una genuina spiritualità di comunione, il radicamento e la comunione non sono la forma algebrica di tattiche e strategie, non si organizzano semplicemente, si generano e si vivono. Il presbiterio è un organismo vivo, non una organizzazione burocratica. Vivere nel presbiterio, non buttarsi da soli, a capofitto in un attivismo scriteriato e convulso, è attitudine fondamentale alla collaborazione, esigenza insopprimibile. Il dono specifico che Don Michele ha assicurato alle comunità parrocchiali servite non è stato una serie di attività o una somma di funzioni amministrative, ma la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta e di una paternità spirituale semplicemente donata e offerta.

Una quarta nota è caratterizzata dal suo stile di vita semplice ed essenziale. Ricco di appartenenza al suo Signore, che ne ha marchiato "a fuoco" la sua esistenza, ha camminato con il cuore e il passo dei semplici e dei poveri, reso ricco dalla loro diuturna frequentazione. Il piccolo appartamento di Vastogirardi, la piccola Chiesa all'inizio a Cerratina poi di San Giovanni a Pescara Colli, la piccola cella dei Frati Cappuccini di Madonna dei Sette Dolori, dove ha vissuto gli ultimi anni, accolto dalla fraternità generosa dei cappuccini, sono anche la prova umile e sincera della semplicità e dell'essenzialità dello stile di vita di Don Michele. "Piccolo" è bello. La santità non è un lusso, ma una necessità. Ciò che conta non è la grandiosità dei luoghi e degli apparati, ma l'unione con Dio realizzata dalla Grazia e l'adesione a Cristo e alla legge suprema della Carità. Piccolo e semplice significa unitario, essenziale, puro, sincero, senza malizia, privo di ornamenti eccessivi. Deriva ed è imparentato da semper: "per" è il moltiplicativo di "sem", la radice che esprime unità-identità, "intercongiunto" a tutto e a tutti, sempre connesso. Questo lo stile di Don Michele.

Vorrei infine sottolineare un'ultima nota, il rapporto personale che ho avuto con lui nei primi anni del mio sacerdozio. Nominato Parroco a Villa S. Michele (già Pagliarone), frazione di Vastogirardi, ho iniziato il mio ministero pastorale con un fatto, a dir poco, imprevedibile e drammatico. La ribellione del popolo che non accettava il nuovo Parroco troppo giovane e inesperto. Avevo 24 anni. Oltre 40 carabinieri furono inviati dalla Questura di Campobasso a "proteggermi". Tutto fu risolto con l'aiuto di Dio e il buon senso del popolo molisano. Don Michele mi fu di aiuto fraterno e amicizia viva. Ho camminato con lui in piena collaborazione e con serena intesa per tutto il periodo che è rimasto incardinato alla Diocesi di Trivento e dopo. L'amicizia è rimasta stabile, salda, fedele, maturata col passare del tempo. Nutrita da un rapporto di affetto che ci ha fatto sentire uniti, da amore generoso che ha portato a sentire "il bene" dell'amico, da intimità condivisa con sincerità e fiducia. L'amicizia tra preti è l'unico antidoto, insieme alla "grazia del sacramento dell'Ordine", alla insicurezza e paura dell'altro che tarpano le ali del ministero sacerdotale e rendono indifferenti verso tutti. "Trasfigurare il quotidiano attraverso vere relazioni interpersonali, facendo trasparire la luce di Dio dalla penombra delle cose più ordinarie, è la lezione che ci ha lasciato Don Michele. Grazie! Sei entrato nella gioia dei Risorti.

Ufficio comunicazioni socialiTrivento, 8 dicembre 2019

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