Una sosta al Santuario di San Donato di Celenza sul Trigno | Diocesi di Trivento

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Una sosta al Santuario di San Donato di Celenza sul Trigno

Una sosta al Santuario di San Donato di Celenza sul Trigno

“Andiamo a san Donato!” è l'annuncio o l'esortazione del pellegrino devoto del Santo a recarsi a Celenza sul Trigno, di cui è patrono, in occasione della festa del 7 agosto. E fino agli Sessanta da paesi dell'Abruzzo e del Molise arrivavano processioni a piedi la sera del 6 agosto, festa di san Nicola, per rimanervi la notte a dormire in chiesa o all'aperto, assistere alle messe del 7 agosto, seguire la processione di mezzogiorno e poi ripartire per i paesi di provenienza.

Era uno spettacolo, uno spettacolo di fede di cui i celenzani andavano orgogliosi e ricordano, ovviamente quelli di una certa età, quei tempi. Dai canti, preghiere ed espressioni del viso si coglieva nei pellegrini la fiducia nel Santo a cui chiedevano il miracolo per sé o per i propri cari. Della festa di quei tempi si coglieva l'essenza, cioè la spiritualità. Esercitava su tutti un fascino irresistibile san Donato, fascino che è rimasto, che è di richiamo pur con modalità diverse. Oggi è un viavai di automobili distribuito nel corso della giornata, perché la visita a san Donato con la sosta al santuario e la preghiera, è un'esigenza fortemente sentita. Si respira un'atmosfera mistica nel santuario, unico nel circondario.

Nell'angolo forse più suggestivo del paese, verso la fine di Via Marconi, tra Parco della Rimembranza, giardinetto ed ex convento oggi RSA tra il verde bel curato, si presenta la facciata del santuario con la sua serenità e limpidezza. È quando entri che rimani colpito da una atmosfera intima che ti lascia senza parole.

La costruzione dell'attuale santuario risale al 1598 sulla cappella originaria che risale al VII-VIII secolo. Vi era annesso un convento francescano che raggiunse una certa notorietà sia nel vastese sia lungo i comuni molisani alla destra del Trigno. La devozione di san Donato è stata probabilmente diffusa dai Longobardi e ciò spiega anche la probabile costruzione contemporanea della Torre della Fara, visto il toponimo “Fara”.

Probabilmente la chiesa era stata progettata, considerata la numerosa presenza di frati, la devozione al Santo e i pellegrinaggi, a cinque navate, ma solo tre sono state completate. La navata di destra, rimasta al grezzo, è stata adibita una decina di anni fa a custodia degli ex voto. Quella di sinistra è stata assorbita dal patrimonio comunale, forse dopo l'Unità d'Italia, ed oggi fa parte della RSA.

Tre aspetti ti colgono nell'immediato: innanzitutto entri in una atmosfera spirituale, di raccoglimento immediato, di pace interiore, di voglia di pregare e di entrare in contatto con il Signore. Ti guardi intorno e ti rendi conto che, nell'architettura a tre navate, le statue e i dipinti di grande valore saggiamente distribuiti ti parlano al cuore scendendo nel profondo e la mente comincia a rispondere ai messaggi oppure interroga. E ti colpisce quella che è il cuore del santuario: la Pala d'Altare con il dipinto dell'Annunciazione, opera realizzata tra il 1550/1559; alla sinistra i dipinti di san Francesco e san Donato e alla destra sant'Antonio di Padova e san Sebastiano. Sulla cimosa il dipinto di Dio Padre che benedice con alla sinistra san Luigi IX e alla destra santa Chiara. In basso la Deposizione. I suddetti dipinti, che si intonano con il coro ligneo decorato ai lati e risalente al diciottesimo secolo, sono stati realizzati tra il 1650 e il 1699. Del 1700 è l'organo. E quindi, davanti all'altare, al lato sinistro, ti prende la statua di san Donato, davvero particolare, essendo un busto ligneo di fine 1500. Il particolare del color nero del volto di san Donato è spiegato dal racconto degli anziani: a causa di un incendio scoppiato in località “san Rocco” il popolo, preoccupato, si recò in chiesa, prese la statua e la portò in prossimità dell'incendio che in effetti fu domato ma il volto della statua rimase annerito. È il prezzo del miracolo che ha pagato il Santo per salvare il raccolto del grano.

La navata centrale offre al lato sinistro prima la statua di san Pasquale Bailonne e quindi San Matteo apostolo e a destra san Donato giovinetto (1758), statue lignee del XVIII secolo entrambe del noto scultore molisano Paolo Di Zinno.

Lungo la navata di sinistra, procedendo dalla statua di san Donato, si possono ammirare la tela settecentesca di san Diego di Alcalà con gli episodi della vita del Santo, quindi la statua lignea del "700 di sant'Antonio di Padova.

Copia autentica della sacra Sindone la si ammira all'ingresso della chiesa a sinistra dal 26 agosto 2017. Essa è stata offerta alla comunità celenzana dal Cav. Arnaldo Di Lonardo dell'Associazione dei Cavalieri della Spada e del Silenzio dietro interessamento dell'allora parroco don Erminio Gallo.
Del XVIII secolo sono due dipinti della navata di destra: la Deposizione di Gesù e Gesù e san Francesco d'Assisi, uno dietro l'altro, che portano entrambi la croce. A fine XVI secolo e inizio XVII risale il dipinto della Madonna tra san Francesco e san Leonardo.
Gli ovali rappresentanti le stazioni della Via Crucis sono del 1800.

Nel locale che custodisce gli ex voto rimani innanzitutto incantato e ammirato di fronte a tanta bellezza e ti coglie una profonda emozione e ammirazione pensando a quelle persone che hanno fatto dono al Santo di oggetti preziosi (foto, lettere, abiti da sposa, indumenti) a cui erano affezionati, per gratitudine per una grazia ricevuta.

Colpiscono al lato destro dell'ingresso l'urna in cui è custodito un bambino in cera, avvolto in fasce, e una grande bilancia di legno. Una leggenda racconta che una giovane pugliese, sterile, chiese a san Donato la grazia di avere un figlio. Fu esaudita, ma il figlio morì poco dopo. La donna fece imbalsamare il corpo e per ringraziamento ne fece dono al Santo. Ogni anno, alla festa del Santo, si recava in chiesa per togliere le fasce al bambino, lavarlo e rivestirlo.

La bilancia si spiega con l'usanza della pesatura dei malati, soprattutto epilettici, quasi sempre bambini. Su un piatto della bilancia veniva adagiato il malato e sull'altro tanto grano da pareggiare il peso. Con il tempo la bilancia ha assunto un carattere simbolico, nel senso di bilanciare, cioè equilibrare il corpo e la mente. San Donato liberava dal male fisico e dal peccato, molto implorato dagli epilettici. Santo dalla parte dei bisognosi e Santo che infondeva e infonde fiducia.
Per tutte le opere d'arte, oggetti di valore ed ex voto e quelli simbolici il santuario è davvero un gioiello da visitare.

Erano gli anni della Controriforma cattolica quando l'arte assume un ruolo fondamentale nella catechesi e nella comunicazione. Si ricorda che le messe venivano celebrate in latino e quindi di difficile comprensione soprattutto per i tanti analfabeti. Sculture e pitture, invece, hanno il potere di emozionare, di commuovere, di toccare l'animo dei fedeli perché le statue e le pitture rappresentano le passioni e i sentimenti della gente comune, quella che si incontra nelle strade, quella che è intorno a noi, quella umana, insomma. Nelle immagini di Cristo, della Madonna e dei santi vediamo persone reali che esprimono sentimenti che sono anche i nostri che guardiamo. Una caratteristica delle pitture alla destra del santuario è data dalla luce – e ciò richiama proprio la tendenze del Seicento – quella luce che proviene dai personaggi a simboleggiare la grazia divina. Noto in queste pitture una certa drammaticità, mentre nella Deposizione ai piedi della Pala d'Altare, per la sua armonia e compostezza, mi sembra di cogliere qualche aspetto trasfigurativo, il che mi fa ritenere che l'opera sia precedente.

Soffermarsi davanti alle opere d'arte e riflettere su quanto ci ispirano, è come stabilire un dialogo. E quando questo riesce, significa che l'opera colpisce nel segno, cioè adempie la sua funzione.

Molto drammatica ritengo la pittura in cui Gesù e san Francesco, uno dietro l'altro, portano la croce ed è tale il peso che Gesù, preoccupato e rassicurante, gli tende la corda, come a dire, che c'è lui, che non lo abbandona, che non lo lascia solo. Ma quella corda è lanciata dal Cielo e si crea quindi un legame a tre.
«Se vuoi seguirmi, prendi la tua croce!»
San Francesco lascia scorrere in basso la corda: un invito a chi voglia afferrarla.

Prof. Rodrigo CieriCelenza sul Trigno, 21 agosto 2023

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