Commento al Vangelo
Domenica 27 dicembre - Santa Famiglia
Liturgia: Genesi 15,1-6; 21,1-3; Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2,22-40Il tempio di Gerusalemme, unico e sommo luogo sacro del popolo d'Israele, che custodiva le tavole della Legge di Dio – segno della gloria e della vicinanza di Jahvé al popolo eletto – brulicava quotidianamente di pellegrini, sacerdoti, addetti, mercanti. Una folla chiassosa e indaffarata. Quel giorno, quasi nascosti e anonimi, Maria e Giuseppe portano il loro piccolo per adempiere le prescrizioni e compiere l'offerta. Solo due vecchi, Simeone e Anna, si accorgono di loro, li riconoscono e, dopo tanti anni di silenzio e attesa, tornano a profetizzare. Simeone riconosce in quel bambino il Signore, il Messia di Israele, l'atteso delle genti. Finalmente l'ha visto! Ora può morire in pace. La paura della morte è vinta, perché finalmente è possibile trovare Dio nel proprio limite, nella condizione della carne umana. Anche Anna, ormai vecchia e vedova da tanti anni, trova finalmente lo Sposo di Israele. Le grandi paure dell'uomo, la morte e la solitudine, si dissolvono: Dio si fa compagno dando senso alla vita e speranza dinanzi alla morte.
Il segno della circoncisione diceva l'appartenenza al popolo che si era impegnato con Dio in un patto di alleanza e di fedeltà. A questo patto Israele, come ogni uomo, non è mai stato fedele, è sempre venuto meno. Dio no. Anzi, in Gesù trova la via per compiere finanche la parte dell'uomo. Gesù è, allo stesso tempo, il sì di Dio all'uomo e il sì dell'uomo a Dio.
Il canto di Simeone ("Ora lascia o Signore...") è la preghiera che chiude la liturgia di ogni giorno, a "Compieta": mentre scende la notte, si alza l'inno di gioia e di salvezza. Come il vecchio Simeone, anche l'uomo, al limite del suo giorno e dei suoi giorni, non è più stretto dall'abbraccio delle ombre di morte, ma egli stesso abbraccia il piccolo che dà la vita, il Signore che salva, Gesù.
Maria e Giuseppe ascoltano con stupore le parole di Simeone che predice il destino di Gesù, segno di contraddizione. Già si intuisce il mistero di morte e resurrezione del Signore che trapassa il cuore della Madre e di ogni discepolo.
Anna, molto avanzata negli anni, riceve anch'essa la grazia di vedere il volto di Dio in Gesù. Sembra avere l'età di tutta l'umanità che, dopo una giovinezza brevissima (il paradiso delle origini!), ha perso lo sposo e vive una vita vuota e disperata. Come Anna, anche noi non dobbiamo "lasciare il tempio", ma continuare ad attendere e cercare, con preghiera e desiderio, di vedere il volto di Dio e di ascoltarne la voce.
La festa della Santa Famiglia fa sì che ciascuno si ritrovi in qualcuno dei suoi protagonisti: i padri potranno rispecchiarsi in San Giuseppe, le madri in Maria, i figli in Gesù. Meglio ancora sarebbe che ogni famiglia cristiana si recasse oggi spiritualmente a Nazareth e qui apprendere l'arte di vivere in famiglia. È quello che, con parole ispirate, ricordava Paolo VI, pellegrino in Terra Santa nel gennaio del 1964: "Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere come è dolce e insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale".
Nella domenica della Santa Famiglia emblematiche sono le figure di due profeti, Anna e Simeone. Anche la famiglia in quanto tale è profezia per l'umanità, perché – queste le parole di Giovanni Paolo II – "l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia".
Nella festa della Santa Famiglia impariamo ciò che conta per ognuno: fare la volontà di Dio, possibilmente con gioia. A volte costa molto compiere sorridendo la volontà di Dio. Un giorno Madre Teresa raccomandava a un gruppo di famiglie: «Mariti, sorridete alle vostre mogli; mogli, sorridete ai vostri mariti». Un uomo obiettò: «Scusi, madre; ma lei è sposata?». Madre Teresa rispose con dolcezza: «Sì. E a volte mi è assai difficile sorridere a Gesù, perché è uno Sposo che chiede davvero molto!».
Nel quadro di Zurbaran, la famiglia di Nazaret, vediamo lo spazio interno di una stanza, scandito da oggetti semplici, familiari, dove si svolge nella quiete e nel lavoro la vita di ogni giorno. Gesù adolescente, che indossa una veste violacea chiara, si è ferito un dito intrecciando una corona di spine e, colpito dal doloroso presagio, guarda assorto e triste una goccia di sangue. Maria, che indossa una veste rossa, ha sospeso il lavoro di ricamo e osserva il Figlio con malinconia e profonda mestizia. Vicino a lei le due colombe, disposte secondo un modulo triangolare come del resto anche le figure di Gesù e di Maria, ricordano la profezia di Simeone: "A te una spada trafiggerà l'anima". Gesù cresce con la consapevolezza della passione che lo attende e con la volontà di donarsi totalmente agli uomini, senza tirarsi mai indietro, costi quello che costi.
Mons Angelo Sceppacerca27 dicembre 2020