Domenica 18 luglio | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 18 luglio

Liturgia: Ger 23, 1-6; Sal 22; Ef 2, 13-18; Mc 6, 30-34Domenica 18 luglio

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Particolari concreti, tratti da una vita semplice, comune a tutti, riportati solo dal Vangelo di Marco e affidati alla memoria credente. Le folle sono attirate da Gesù e dal suo insegnamento proprio perché intuiscono la prospettiva di una vita completamente diversa, ma realistica. È la vita nuova secondo il Vangelo. Alcuni particolari: gli apostoli che raccontano quello che è successo, che hanno detto e hanno fatto; il bisogno di riposare un po' perché a volte non c'è tempo neanche per mangiare, assaliti dalla folla in ogni momento e in ogni luogo; Gesù, con la barca, li porta in un posto tranquillo e riservato, ma la gente lo intuisce e arriva prima; il Signore - davanti a quella povera gente - si meraviglia, si commuove e prova compassione. Lasciato da parte il riposo, riprende a insegnare.

"In disparte, in un luogo deserto", ripetuto due volte. La stanchezza davvero si fa sentire, la fatica degli apostoli è tangibile. Più forte ancora è la pressione della folla che, con l'intuizione tipica dei poveri, capisce dove sono andati Gesù e i discepoli e li precede a piedi, si fa trovare dinanzi. Commovente, "come pecore che non hanno pastore". Non ci sono miracoli, moltiplicazione di pani, guarigioni da malattie, se non quello della misericordia commossa e della parola che insegna e illumina l'anima, risanandola. Dalla vita quotidiana, la stanchezza del lavoro e del ministero, lo sfinimento delle prove e del sentirsi soli, la parola del Signore, la comunione fra noi e con Lui; tutto indica una liturgia, un presagio di Eucaristia.

A che serve la preghiera, la contemplazione? Non è forse una fuga dal mondo e dalle responsabilità? Come si può, ad esempio, portare la pace con atteggiamento inerme e rassegnato? Qui non si tratta di parlare o di tacere, di fare o di non fare; si tratta di decidere con chi parlare, in nome di chi agire. Madre Teresa di Calcutta non ebbe dubbi ed esitazioni quando fece questa scelta per sé e per le sue suore: "per essere in grado di realizzare la pace parleremo molto a Dio e con Dio, e meno con gli uomini e agli uomini".

E lo aveva capito anche il piccolo principe quando, al mercante di pillole che calmavano la sete (ne bastava una alla settimana per togliere il bisogno di bere) e che, in questo modo, permettevano di risparmiare ben cinquantatré minuti alla settimana, chiese: "E cosa ne fai di questi cinquantatré minuti?". "Se ne fa quel che si vuole...". "Io", disse il piccolo principe, "se avessi cinquantatré minuti da spendere camminerei adagio adagio verso una fontana...".

Le persone vanno guardate con gli occhi del Signore. Anche lo sguardo su noi stessi deve essere il suo: "Ora venite voi a riposare un po'". La cosa più importante è stare con Lui, il pastore; anche i dodici sono parte del gregge.

Mons Angelo Sceppacerca18 luglio 2021
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