Domenica 21 maggio - Ascensione del Signore | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 21 maggio - Ascensione del Signore

Liturgia: At 1, 1-11; Sal 46; Ef 1, 17-23; Mt 28, 16-20Domenica 21 maggio - Ascensione del Signore

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Le ultime parole del Vangelo di Matteo, che ne contiene 18.278 (in greco) sono queste: "Io sono con voi". Eco di quelle alla nascita: "Emmanuele, Dio-con-noi". Sullo sfondo il monte, simbolo della montagna sacra, il Sinai. Dinanzi ai discepoli non c'è solo il Maestro, ma il Risorto: una "cristofania", un'apparizione pasquale, un'epifania di "missione". Una missione che dura tutto il tempo della Chiesa e raggiunge ogni terra e ogni popolo oltre le frontiere di Israele. "Fare discepoli" è più che "insegnare" e la fede è trinitaria; il Battesimo è dato "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".

Gesù ascende al cielo e gli apostoli rimangono nella contemplazione del mistero. Negli Atti, gli angeli chiedono: "Perché state a guardare il cielo?". Come dire che l'ascensione ha, per conseguenza immediata, l'annuncio della buona notizia su tutta la terra. Terminata la missione di Gesù, inizia il cammino di quelli che l'hanno accolta e la sentono, ora, come propria: testimoniare l'amore del Padre ai fratelli che ancora non lo conoscono.
Per l'ultimo appuntamento Gesù ha scelto di nuovo un monte, in Galilea: il monte è sempre stato il luogo privilegiato della manifestazione di Dio e la Galilea ha sempre indicato uno spazio di confine, di frontiera, di apertura. Monte e Galilea simboleggiano, insieme, l'incontro tra il cielo e la terra e l'apertura alla missione universale dei discepoli che sono inviati da Gesù a convocare la Chiesa per riunirla dai quattro punti cardinali del mondo. Nessuno è escluso dalla famiglia dei figli di Dio. Ma occorre che il nome del Padre dei cieli sia santificato su tutta la terra.
Al comando missionario Gesù unisce la conferma della sua presenza: "Sarò con voi tutti i giorni". Se obbediamo al comando è perché confidiamo nella sua presenza. Sappiamo che in Gesù Dio ha assunto un nome nuovo, l'Emanuele, il Dio-con-noi. C'è da cambiare il mondo, una sfida impossibile, ma lui è in mezzo a noi. Cambiare nel senso di salvare, perché il Vangelo è acqua che risana, notizia che consola, annuncio che libera.
"Essi però dubitarono", come se avessero un cuore "doppio", diviso, tentato. Fede e dubbio convivono, anche se le parole del Signore sono chiare e totalitarie perché mostrano la potenza di Dio: "...ogni potere... tutti i popoli... tutti i giorni...". Dov'è oggi il potere del Signore? Sembra nascosto, annullato. Il vero potere è averlo con noi ogni giorno, fino alla consumazione dei secoli. C'è la potenza del male, ma Gesù è con noi.
C'è anche la traccia di un dramma consumato. Non sono dodici, ma undici, i discepoli convocati sul monte di Galilea per essere mandati sino ai confini della terra a portare il Vangelo della salvezza e della pace. Un corpo ferito, una sproporzione tra la santità del compito e la povertà della storia di ciascuno. Ecco la grande missione che, iniziata quel giorno, è oggi ancora del tutto iniziale. In molte terre e in tantissimi cuori neppure inaugurata; di più: in molte terre e cuori già svanita, abbandonata.
La "fine del mondo" è la meta finale verso cui converge la storia della salvezza; è il fine più che la fine, l'approdo più che il naufragio. Forse Matteo pensava la storia in sette millenni, che rifanno i sette giorni della creazione. Il Risorto si innalza su tutta la storia, come il Risorto dipinto da Piero della Francesca, sulla sua Chiesa che ora è solo "un piccolo gregge" di undici dubbiosi, ma che è destinata ad allargarsi al mondo.

L'affresco è come una finestra aperta sul paesaggio. In basso quattro soldati: non sono le guardie spaventate, ma i rappresentanti della Città che dormono tranquilli, vegliati e protetti da Cristo. Il sepolcro assomiglia piuttosto a un altare. Il Risorto si erge imponente; la sua altezza è pari alla lunghezza del sepolcro, vigoroso, statuario, potentemente comunicativo (occhi grandi, sguardo intenso e fermo); non sta uscendo dal sepolcro; sta sopra di esso; tiene piantato il vessillo crociato della vittoria fuori della tomba; non c'è l'evento del risorgere, ma la permanente presenza del Risorto che veglia, protegge. Lo sguardo, seguendo il paesaggio, sale verso i monti e verso il cielo. Il Risorto è roccia di salvezza che non delude.

Mons Angelo Sceppacerca21 maggio 2023
Licenza Creative CommonsLe informazioni e gli articoli pubblicati su questo sito sono distribuiti con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia