Domenica 24 settembre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 24 settembre

Liturgia: Is 55, 6-9; Sal 14; Fil 1, 20-24.27; Mt 20, 1-16Domenica 24 settembre

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna".
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo".
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Se tutti siamo operai, vuol dire che la vita è tutta un'opera, un operare; non si deve contrapporre la vita attiva e la vita contemplativa: tutto è opera dello Spirito e, da parte nostra, obbedienza operosa.

I "primi chiamati" sono sempre stati gelosi della misericordia e della generosità di Dio. Così il popolo d'Israele, il profeta Giona, il fratello maggiore del "figlio prodigo", e tanti altri. Anche il giovane ricco pensava che la vita eterna consistesse nel fare qualcosa in più, invece Gesù gli dice che l'avrebbe ottenuta lasciando tutto. Fatto sta che per tutti, primi e secondi, la salvezza è dono gratuito del Padre. Non si può meritarlo o pretenderlo: è grazia.
Gesù racconta una splendida parabola ai discepoli, mentre sale a Gerusalemme, annunciando che lì "il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà". E i discepoli, in risposta, litigano sui primi posti.
C'è legame tra la vigna della parabola e la città di Gerusalemme; l'una è immagine dell'altra. Se Gerusalemme è la sposa amata, la vigna è il "talamo" dove si consumano le nozze dell'amore di Dio per l'umanità.
Gesù esce - dal Padre - a chiamarci. Stabilisce un compenso preciso per l'opera dei lavoratori chiamati da subito; per gli altri ne promette uno "giusto". L'attenzione non è sul guadagno, ma su quel tornare a chiamare e a mandare, per non lasciare disoccupati e in ozio; come dire in una esistenza senza fatti, senza una direzione, senza uno scopo.
Il mugugno degli operai della prima ora vorrebbe giustificarsi in rapporto al compenso finale, ma non trova scusante se l'ottica è quella dell'immenso valore di essere chiamati e mandati nella vigna. Non se ne esce: di fronte alla bontà del Signore si oppone l'occhio cattivo: "Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". È la mormorazione dei primi la ragione che li fa ultimi; la loro invidia è nel non accettare che gli altri ricevano del bene, quasi a dire che la bontà di Dio è per loro insopportabile. È la stessa mormorazione del popolo nell'Esodo.

Gesù non aspetta che ci presentiamo a chiedere lavoro; è lui che viene a cercarci: è una economia nuova. Non è la vigna ad aver bisogno degli uomini, ma noi di essa. Mistero della fede; mistero dell'amore. Noi aspiriamo al centuplo, fin da adesso; per questo è fatto il nostro cuore.

Mons Angelo Sceppacerca24 settembre 2023
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