Domenica 28 settembre | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Domenica 28 settembre

Liturgia: Am 6, 1a.4-7; Sal 145; 1Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31Domenica 28 settembre

C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».

La vita è un ponte gettato sull'abisso tra la perdizione e la salvezza. Lo si attraversa usando misericordia verso i bisognosi. La religione pura e senza macchie, dice la Lettera di Giacomo, è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo. Al contrario, l'ateo pratico è il ricco che fa di sé il centro di tutto e occupa il posto di Dio. Il povero è chi attende tutto da Dio. Lazzaro significa proprio questo: Dio aiuta. Davanti a Dio il povero ha un nome, si chiama Lazzaro, mentre non sappiamo chi sia il ricco.

Una parabola con scene come in un film. Le condizioni di Lazzaro e del ricco si capovolgono nella morte. Non ce ne voglia Totò, ma la morte non è una livella, una falce che pareggia l'erba. La morte separa, distingue e giudica: il ricco diventa un mendicante inascoltato, mentre il povero è portato accanto ad Abramo, in braccio a Dio. È la logica del Magnificat, è la legge delle beatitudini. Il Regno di Dio è il grande correttivo dell'immensa giustizia che c'è nel mondo. In terra è il povero che non ha nome per gli uomini, in Cielo è il ricco a non avere il nome.

Non è una minaccia per terrorizzare quelli che sono privi di misericordia, ma perché l'imparino in vita. L'amore al prossimo e la misericordia si imparano se si crede alla parola di Dio. Solo questa parola, infatti, è capace di penetrare nel profondo dell'uomo e cambiarlo. Questo vangelo alla fine parla anche della Resurrezione, l'evento che cambierà ogni relazione. San Giovanni Crisostomo, commentando la Parabola del povero Lazzaro, dice: "Se abbiamo bisogno di una guida, quando passiamo da una città ad un'altra, quanto più l'anima che rompe i legami della carne e passa alla vita futura, avrà bisogno di qualcuno che le indichi la via".

La tradizione ha chiamato "Epulone" l'uomo ricco che ogni giorno "banchettava" (epulabatur) e "povero Lazzaro" il piagato e affamato alla sua porta; "Povero, come fosse il cognome di Lazzaro. Non c'è equità tra uno che ha troppo cibo ed un altro niente, perciò il ricco sarà giudicato per non aver voluto vedere oltre il proprio piatto colmo.
Epulone (un uomo di cui non conosciamo il nome, salvo il riferimento al suo passare da un banchetto – epulum – all'altro) non è cattivo perché è ricco, ma perché non si accorge del povero Lazzaro che mendica la sua vita a frusto a frusto (Dante), che è privo di tutto ma non del nome che ne dice l'identità e che ne farà nel tempo patrono degli ospizî per poveri e dei lazzaretti. Il Lazzaro della parabola richiama anche il Lazzaro di Betania: entrambi segni e richiami alla Resurrezione.

Arriva la morte per entrambi e con essa non la fine di tutto, ma il giudizio su ogni cosa. Il giudizio è parte grande della fede cristiana e riguarda il ritorno del Signore, che "verrà a giudicare i vivi ed i morti". Incapace di accogliere il povero, epulone è però in grado di scavare un abisso, l'inferno di una solitudine dove neppure Dio riesce a raggiungerlo e di caderci dentro.

Il giudizio è grazia e i giorni smarriti lo invocano urgente. Disgrazia sarebbe che il mondo non venisse mai giudicato e che poveri, affamati e perseguitati mai ricevessero ricompensa, mentre ai gretti e ai violenti non fosse tolto ciò che credono loro patrimonio.

I farisei si sentono provocati perché erano attaccati al denaro e si beffavano di Gesù, tentando di giustificarsi nascondendo la propria disonestà. Per chi, come i farisei rappresentati da Epulone, si rifiuta di ascoltare la Legge di Mosè e i Profeti, neanche uno risorto dai morti è capace di provocare conversione. Epulone sembra consapevole e accetta il castigo. L'unica richiesta è di mandare Lazzaro ad ammonire i fratelli ancora vivi. La risposta di Abramo è per noi e significa che la conversione nasce dall'ascolto della Parola. Oggi la parola è questo vangelo.

C'è un abisso fra Epulone e Lazzaro. La vita del ricco è un abisso scavato nel suo cuore, fra l'io e il tu del fratello, con la vanga del "Che ci posso fare?" L'abisso è invalicabile anche dall'altro verso; né il fratello, né Dio può scavalcarlo per soccorrere l'angoscia di Epulone.

Papa Benedetto XVI, nel Gesù di Nazareth, scrive che con questa storia il Signore ci introduce nel processo del «risveglio», da un'intelligenza stolta alla vera sapienza, a riconoscere il vero bene. Nell'aldilà viene alla luce la verità già presente nell'aldiquà. Il ricco chiede ad Abramo quello che oggi tanti uomini vorrebbero dire a Dio: se vuoi che ti crediamo devi essere più chiaro. Mandaci qualcuno dall'aldilà che ci possa dire che è davvero così. È una richiesta di segni. La risposta di Abramo, come quella di Gesù, è chiara: chi non crede alla parola della Scrittura, non crederà nemmeno a uno che venga dall'aldilà. La riprova è nella risurrezione di Lazzaro di Betania quando i testimoni vanno dai farisei e riferiscono l'accaduto. Il Sinedrio si riunì per discuterne sotto l'aspetto politico e decisero di uccidere Gesù. Così non sempre il miracolo porta alla fede ma all'indurimento, l'opposto della compassione.

Una cosa possiamo farla tutti – è la briciola sotto la mensa – avere compassione, ascoltare, vedere, capire, prendere a cuore.

La parabola del figliol prodigo, quella dell'amministratore che condona i debiti, l'irriducibilità fra Dio e Mammona: non sono discorsi sui beni materiali, ma modelli di relazione: del figlio col Padre, dei fratelli fra di loro, dei figli col Figlio. In questa parabola Gesù è in Lazzaro: nelle sue piaghe, nell'uscita dal sepolcro, nella resurrezione. La parabola invoca un inviato; Gesù è il nuovo Lazzaro.

Mons Angelo Sceppacerca27 settembre 2025
Licenza Creative CommonsLe informazioni e gli articoli pubblicati su questo sito sono distribuiti con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia