Editoriale
L’anno della speranza
I mesi di preparazione e avvicinamento al quarto Convegno ecclesiale italiano, nel segno della testimonianza, dell’ascolto e del dialogo con gli uomini e le donne dei nostri giorni. I segni in chiaroscuro della speranza e dello smarrimento.
LE DOMANDE DA FARSI
Chissà per cosa sarà ricordato questo anno, il 2006. Ognuno avrà i suoi motivi. Singoli e comunità. Famiglie e nazioni. Per la Chiesa italiana, però, il 2006 sarà soprattutto l’anno di Verona, dove a fine ottobre si terrà il quarto Convegno ecclesiale. I lavori sono già iniziati, non solo per i documenti preparatori e per i vari Comitati messi in piedi, ma anche per la quantità di iniziative già in atto nelle diocesi italiane in vista dell’evento. Convegni e dibattiti, momenti culturali e di spiritualità, gruppi di studio e percorsi di riflessione: tutto serve per prepararsi all’incontro che ci vede e ci vuole come “testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”, come recita il titolo stesso. A Verona la Chiesa italiana dovrà fare anche una verifica di questo decennio. Cosa ne è della “conversione pastorale” e del “discernimento comunitario” auspicati a Palermo nel 1995? Per non sbagliare strada, andando a Verona, bisogna imboccare quella del “primato della spiritualità” e quella del “dialogo con l’uomo contemporaneo”. Non per nulla, in questi mesi che ancora mancano, pochi e importanti sono gli interrogativi sui quali confrontarsi: come può essere plasmata una nuova antropologia nell’epoca della complessità? Dire antropologia vuol dire quale visione dell’uomo in un tempo in cui i suoi contorni sfumano e dissolvono. Ma non è solo filosofia, per quanto concreta. Ci sono anche domande come questa, sul da farsi: quali forme possono caratterizzare l’azione dei cristiani in questo momento storico nel nostro Paese? Le risposte non cadranno a Verona, dall’alto. Dovranno emergere “dal basso”, anche grazie ad esperienze esemplari, provate e raccontate nella vita ordinaria delle nostre comunità. Il Convegno stesso, più che un incontro di esperti, vuole essere un esercizio di testimonianza, capace di parlare alle attese delle persone di oggi. Semplicemente.IL “CARTONCINO DELLA SPERANZA”
Un esempio dalla diocesi di Firenze. Accanto al lavoro delle commissioni e degli organismi pastorali (è previsto anche un ciclo di cinque Forum tematici “in dialogo” con la città e il territorio), da segnalare una semplice e significativa iniziativa. Nel periodo di Avvento è stato largamente diffuso, nelle parrocchie, il “cartoncino della speranza”, con semplici domande rivolte ai fedeli. Le risposte verranno elaborate dagli Uffici pastorali. Ma queste le domande: ci sono speranze nella tua vita? Che cosa speri per te, la tua famiglia, la Chiesa, l’umanità intera? Come sono belle le domande. Com’è bello fermarsi e porsi le questioni vere. E’ molto di più che una lettera a Gesù Bambino. E’ il respiro che ognuno ha dentro mentre rischiamo di soffocare in atmosfere rarefatte, senza ossigeno, senza respiro appunto.
DA PALERMO A VERONA
Se vuoi capire a che profondità può arrivare un argomento, un tema, una questione, pensa al suo contrario. Vuoi prendere sul serio la virtù della speranza (che caratterizza così fortemente l’appuntamento di Verona)? Pensa al suo contrario. Il contrario della speranza? A me viene in mente la disperazione. L’angoscia. Lo sfinimento. E appaiono più chiare alcune parole del documento preparatorio di Verona: “Oggi sono messe alla prova le esperienze umane fondamentali: il rapporto uomo-donna, la sessualità e la generazione, l’amicizia e la solidarietà, la vocazione personale, la partecipazione alle vicende della società”. Di queste esperienze fondamentali dell’esistenza, la trasmissione della cultura e della fede alle nuove generazioni è stata esaminata a Palermo, nel novembre scorso. Don Antonino Raspanti, preside della Facoltà teologica di Sicilia, promotrice dell’iniziativa, ha ricordato: “Il messaggio evangelico non passa da una generazione all’altra in modo automatico”. E la teologa Ina Siviglia, richiamando i tre verbi posti a titolo (“Ricorda, racconta, cammina”), ha riassunto il compito della comunità cristiana: riportare al cuore la Storia della salvezza; narrare con le parole e gli stili di vita la propria storia di fede; farsi compagna delle persone in un percorso comune fino a ridisegnare il destino dell’unica famiglia umana. “Il problema oggi – ha ribadito Salvatore Martinez, coordinatore nazionale del Rinnovamento nello Spirito – è l’incapacità degli adulti di generare i giovani alla fede”. Dello stesso avviso anche Luisa Santolini, presidente del Forum delle associazioni familiari: “I figli rimproverano ai genitori l’insignificanza e l’incoerenza; li accusano di aver rinunciato a educarli. Se non ci saranno famiglie in grado di mantenere la memoria sociale e quella cristiana, i nostri ragazzi saranno segnati per sempre”.
VORREI UNA VITA BUONA. E BELLA
Non tutto va male. Affatto. Penso al desiderio di infinito e di libertà che sono, agli occhi attenti dei veri sapienti, i caratteri dominanti dell’epoca contemporanea. Penso ai cristiani di primordine, che semplicemente e silenziosamente preparano l’avvenire perché vivono la virtù teologale della speranza. Sono uomini e donne, missionari religiosi e laici, medici e volontari, operai del vangelo e della croce. Veri costruttori di pace perché miti come i figli di Dio. Non so quanti siano. Poco conta. La Pentecoste non investì con il suo vento gagliardo che centoventi discepoli, ma diede fuoco al mondo. Chi ha speranza vede lontano e annuncia una nuova Pentecoste già in vista. Ma è tempo di angoscia!, di disperazione, di sfinimento! “Che importa! – scrive Bernanos – “Tutto è grazia”. E Peguy, il poeta della speranza, aggiunge: “Tutto ciò che accade è adorabile”.
Don Angelo Sceppacerca28 marzo 2006