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Notizie dal BangladeschNotizie dal BangladeschCari amici e benefattori,
voglio innanzitutto scusarmi con voi se non ho potuto ringraziarvi puntualmente con lettera scritta di proprio pugno. La ragione è che fin dallo scorso mese di novembre alla missione di Chuknogor sono rimasto da solo e quindi tutte le attività pesano un po’ su di me. Con i miei 67 anni ormai, da compiere in settembre, mi tocca ancora correre come un giovanotto. Fino all’anno scorso facevo un po’ da spalla a P. Sergio Targa, un saveriano bresciano nato nel ’64 (l’anno della mia ordinazione sacerdotale!), pieno di energie, carico di umanità e preparato intellettualmente per il contesto culturale del Sub-Continente Indiano (tre anni di studi a Londra). P. Sergio portava avanti tutte le attività socio-educativo-sanitarie, mentre io mi limitavo all’aspetto religioso, che vedevo come il coronamento dei miei quasi 30 anni di presenza in Bangladesh. Poi il P. Sergio è andato in Italia per il suo turno di riposo e, rientrato in Bangladesh, è stato assegnato ad un’altra missione. Così, eccomi qui da solo, né si vede alcun altro all’orizzonte che venga a prendere il suo posto. Il numero dei missionari saveriani in Bangladesh, infatti, è ridotto al minimo e quasi tutti con un certo numero di anni sulle spalle. Grazie al buon Dio che mi conserva in una salute adamantina, con la mia Honda 125, zig-zagando tra rikshwa, capre e mucche, come negli anni giovani, riesco ad essere puntualmente presente nei 13 villaggi dove si svolgono le nostre attività.

Provo adesso a darvi un quadro del lavoro svolto durante lo scorso anno. Nel febbraio del 2001, quando fui assegnato a questa missione, mi fu chiesto di accompagnare nel loro cammino di fede quelli che avevano chiesto di diventare discepoli di Gesù. La richiesta sembrava legittima perché veniva fatta dopo 20 anni di presenza nostra a Chuknogor. La missione era stata aperta da P. Luigi Paggi, un saveriano della Val Chiavenna, che ha speso una vita lavorando tra i fuori-casta. L’apertura avveniva nel contesto del dibattito di quelle che allora si chiamavano Vie Nuove e che ebbero qui da noi, in Bangladesh, il momento più felice alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80, quando tutti noi eravamo più giovani con l’entusiasmo per la missione che ci bruciava dentro.

Era il tentativo di uscire dal modo tradizionale di fare missione per attuarne una più rispondente alle esigenze evangeliche ed in linea con le direttive del Vaticano II, espresse soprattutto nel documento sulla missione, Ad Gentes. In sostanza si voleva attuare una presenza che riducesse al minimo le strutture permettendo così un contatto diretto con la gente, senza barriere di porte, cancelli e mura. All’epoca, infatti, ogni missione era come una piccola roccaforte, in quanto inserita in un compound e cioè in un ampio appezzamento di terreno, recintato da mura, che proteggevano e ponevano al sicuro il missionario con le sue attività: scuola, dispensario, chiesa ed altre opere sociali.

Ecco, si voleva appunto uscire dalle mura ed operare in campo aperto. Fu l’avventura straordinaria di quegli anni in cui tanti di noi si cimentarono. Chuknogor, dopo 25 anni, conserva ancora la struttura semplice iniziale, che consente la piena immersione nella vita della gente. Mi rendo conto che il mio racconto è come un fiume in piena, che, se rompe gli argini, diventa poi difficile tenere sotto controllo. Riprendendo il discorso, dopo la lunga parentesi introduttiva, necessaria per altro per capire, la scorsa notte di Pasqua, dopo un cammino di 5 anni, 51 catecumeni, la maggior parte dei quali adulti, hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana: Battesimo, Eucaristia e Confermazione. La celebrazione si è svolta nella cattedrale di Khulna (a Chuknogor non abbiamo ancora una chiesa) ed è stato il vescovo in persona a conferire i sacramenti per sottolineare dinanzi a tutti che il passo fatto era un’azione di chiesa e non una iniziativa mia personale.

Nell’ambito della promozione umana, posso affermare che, senza peccare di orgoglio, anche perché il merito principale in questo campo è di P. Luigi Paggi, è stato acceso un faro, la cui luce rischiara finalmente la notte buia dei fuori-casta. Chuknogor è un luogo strategico, perché punto d’incontro di tre distretti nel Sud del Bangladesh e cioè, Khulna-Jessore-Satkhira, dove c’è la più larga concentrazione di fuori-casta in tutto il Bangladesh (un numero che si aggira intorno ai 200 mila). Scegliendo il posto quindi, abbiamo voluto scegliere anche il tipo di gente in mezzo alla quale lavorare: gli ultimi, gli esclusi dalla società per il marchio dell’intoccabilità (non tocco l’argomento estremamente interessante e importante, che però mi porterebbe molto lontano. Sarà per un’altra volta?).

Il processo di coscientizzazione attraverso l’alfabetizzazione si è esteso a macchia d’olio ed ha dato vita ad un movimento ormai inarrestabile. In quasi ogni villaggio si è creata la consapevolezza che per uscire dal tunnel dell’intoccabilità bisogna avere occhi per leggere. Agli inizi occorreva snidare i bambini dalle loro case afferrandoli cortesemente per gli orecchi. Adesso sono i genitori stessi che spingono i figli ad andare a scuola e sono perciò interessati alla loro educazione. Quest’anno gli alunni direttamente in contatto con noi sono 572, seguiti da un gruppo di 40 maestri, anch’essi della stessa estrazione sociale. Degno di nota, poi, è il fatto che accanto a noi e, spesso dietro la nostra ispirazione, sono sorte tante altre organizzazioni non governative, che hanno posto al centro del loro programma l’interesse per i fuori-casta.

L’attenzione per gli ammalati è stata da sempre una priorità della missione: “Essi partirono, predicando che si convertissero; scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti malati e li guarivano (Mc. 6,12-13). In Bangladesh non mancano né medici né medicine, è assolutamente assente, invece, quella cultura, che vede l’ammalato al centro della sua attenzione. Qui, al contrario, l’ammalato è una fonte di guadagno, una occasione da sfruttare per ingrossare il portafoglio. In una situazione, in cui le strutture governative non offrono il minimo di garanzia ai poveri, a pagarne le spese sono proprio i più deboli. Qui a Chuknogor non abbiamo una struttura ospedaliera né un dispensario e tuttavia ogni giorno c’è una fila interminabile di pazienti che vengono a implorare per la loro salute. Fino a qualche anno fa siamo stati fortunati perché per tre giorni la settimana, dal nostro ospedale di Jessore veniva il Dott. Gildo, un saveriano marchigiano con 20 anni di servizio in Bangladesh. Solo la testimonianza diretta delle migliaia di pazienti, che, nel giro di tre anni, sono venuti a contatto con lui, potrebbe dare un’idea del servizio impareggiabile reso da Gildo ai malati della zona. Poi, il Dott. Gildo è stato richiesto di prestare la sua opera di medico nel nord del Bangladesh, a Dinajpur, in un ospedale gestito dai missionari del PIME.

Attualmente ci serviamo di una struttura ospedaliera di Khulna, un sick shelter, dove indirizziamo gli ammalati che vengono a implorare da noi, assumendoci la responsabilità della spesa, che non è poca. A riguardo, volete sentire uno degli ultimi episodi di cronaca? Alcuni giorni fa, una donna di un villaggio vicino a Chuknogor, esasperata per il comportamento dei suoceri, si è cosparsa di benzina e si è data fuoco. I soccorritori l’hanno portata al più vicino ospedale con risultato negativo, perché all’ospedale non l’hanno accolta e così, verso sera, vengono da me perché trovi per loro una via. Telefono al nostro sick shelter di Khulna e Sr. Tecla, sempre tanto brava, mi dice di mandarla subito e penserà lei a farla ricoverare all’ospedale governativo, dove solo è possibile somministrarle le cure del caso. Vi è stata ricoverata per una ventina di giorni e sembrava che potesse farcela. Invece, l’altro giorno, l’hanno rimandata indietro alla Suora del sick shelter, dove è morta qualche ora dopo. Ieri hanno bruciato il cadavere, essendo lei hindu e questa mattina sono andato da Sr. Tecla a pagare le spese: 25 mila taka (una bella sberla, quasi 500 dollari!). Con la morte sembra tutto finito e invece bisogna ballare ancora: da una parte il marito, pieno di spavento, si è dato alla macchia, perché teme che da un momento all’altro la polizia venga a beccarlo e dall’altra i genitori della morta che vogliono fare il caso in corte. Così, in questa tanto simpatica situazione, ho dovuto fare anche la parte del mediatore, riuscendo, grazie a Dio, a calmare le acque. Questo è soltanto uno dei tanti episodi, di cui è costellata la mia vita di ogni giorno. A registrarli tutti, ne verrebbe fuori un romanzo con puntate interminabili. Ma per me non sono più novità e così non li registro più, anche se qualche volta sarei tentato ancora a farlo.

La storia sempre finita qui, ma non è così. Tanti risvolti sono rimasti dentro, anche perché non so fino a qual punto possano essere d’interesse ai miei amici lettori. Se comunque avete avuto la pazienza di andare dietro queste righe, vi ringrazio e vi chiedo la carità di una preghiera.

P. Antonio Germano

Missione di Chuknogor, 14 giugno 2006

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