Quaresima 2007 | Diocesi di Trivento

Riflessioni

Quaresima 2007

Sant'AgostinoDopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: “Anche questi era con lui”. Ma egli negò dicendo: “Donna, non lo conosco!”. Poco dopo un altro lo vide e disse: “Anche tu sei di loro!”. Ma Pietro rispose: “No, non lo sono!”. Passata circa un’ora, un altro insisteva: “In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo”. Ma Pietro disse: “O uomo, non so quello che dici”. E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E, uscito, pianse amaramente.
Lc 22,54-62

Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”.
Gv 21,15-19


Lectio
Nel brano di Luca vogliamo mettere in evidenza lo sguardo del Signore. Pietro lo rinnega e poi incrocia il suo sguardo. Questo sguardo è la possibilità della salvezza: non tanto rimprovero, né delusione, né superiorità come a dire “l'avevo detto”. Gesù guarda per salvare. Getta lo sguardo sulla nostra infedeltà per poterle offrire una possibilità di riscatto, di redenzione. Proprio nel mezzo della sua passione egli trova la forza di guardare a noi e di donarci salvezza. Lo sguardo del Signore su Pietro è quello che Egli continua a posare su ogni discepolo che lo tradisce, lo rinnega, lo vende.

Molti autori hanno letto il dialogo di Gesù e Pietro dopo la pesca miracolosa con un legame al triplice tradimento dell'apostolo. Tre volte Pietro tradisce Gesù, tre volte è invitato a confessare il suo amore per Lui. Il tradimento non è più soltanto luogo di lacrime ma diventa possibilità di amore ripetuto, continuato, ripetuto. Ed abilita alla missione: il traditore redento dall'amore di Dio diventa pastore. Il tradimento, se brucia nel cuore, è nulla rispetto alla sovrabbondanza della salvezza.

Meditatio
Il tempo della Quaresima ci spinge a fare i conti con la propria infedeltà a Dio. Come Pietro... Come Agostino... il cristiano scopre che ha tradito Gesù, lo ha rinnegato. Ognuno a suo modo. Ma il cristiano non si ferma qui: egli scopre anche uno sguardo che lo raggiunge e lo salva: quello del Christus patiens, del Signore che vive la sua Passione. L'episodio di Luca ci indica un modo di vivere la quaresima e l'attenzione alla Passione superando una visione un po' romantica e sentimentale che ci fa compiangere Gesù. E che magari ingenera il sospetto del ricatto psicologico: “Io ti ho amato tanto e tu mi tradisci?” Piuttosto ci spinge a scoprire in Gesù che va incontro alla sua passione, l'unica possibilità di salvezza che abbiamo. Gesù si offre per liberare ogni uomo dal peso del peccato; dona se stesso perché io possa vivere senza rimorsi, ma pienamente affidato al suo sguardo. Non sarebbe male approfondire il senso teologico della Passione e della Morte di Gesù, magari coinvolgendo anche diverse persone e gruppi della parrocchia. Per fare della Via Crucis e del cammino quaresimale un vero esercizio di contemplazione e per intraprendere un cammino di autentica conversione dietro il Signore Gesù.
Un altro aspetto da approfondire è quello del legame tra conversione e missione. Non può esserci l'una senza l'altra. Anzi la missione nasce dalla conversione e trova lì le sue radici più vere. Non si fa missione come espressione nella propria bontà naturale. Si è missionari proprio perché convertiti. Scoprire che si è peccatori e trovare nel Signore risorto e nel suo amore offerto la forza di non esserlo più è la forza più autentica dello slancio missionario della Chiesa. Per questo il cammino quaresimale diventa il luogo naturale dove la Chiesa, facendosi compagna con i catecumeni, con loro si riscopre bisognosa della Passione di Cristo, del suo amore “fino alla fine”. Mai come nella Quaresima la Chiesa è in cammino con l'umanità peccatrice e sente il bisogno di incrociare lo sguardo del Signore che offre la sua vita per vincere ogni male. In questo senso possiamo scoprire nella vita di sant'Agostino un paradigma sempre attuale di servizio ecclesiale che nasce dalla conversione.


Oratio
Salmo 31 (32)
Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa,
e perdonato il peccato.
Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male
e nel cui spirito non è inganno.
Tacevo e si logoravano le mie ossa,
mentre gemevo tutto il giorno.
Giorno e notte pesava su di me la tua mano,
come per arsura d'estate inaridiva il mio vigore.
Ti ho manifestato il mio peccato,
non ho tenuto nascosto il mio errore.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie colpe»
e tu hai rimesso la malizia del mio peccato.
Per questo ti prega ogni fedele
nel tempo dell'angoscia.
Quando irromperanno grandi acque
non lo potranno raggiungere.
Tu sei il mio rifugio, mi preservi dal pericolo,
mi circondi di esultanza per la salvezza.
Ti farò saggio, t'indicherò la via da seguire;
con gli occhi su di te, ti darò consiglio.
Non siate come il cavallo e come il mulo
privi d'intelligenza;
si piega la loro fierezza con morso e briglie,
se no, a te non si avvicinano.
Molti saranno i dolori dell'empio,
ma la grazia circonda chi confida nel Signore.
Gioite nel Signore ed esultate, giusti,
giubilate, voi tutti, retti di cuore.


Contemplatio
Il pianto di san Pietro

Actio
· Preparare la Via Crucis per la propria comunità mettendo in luce l'idea della Passione e della morte di Cristo come unica via di salvezza offerta all'uomo. A tal scopo si può cercare, tra i tanti in commercio, un testo base da cui partire e da arricchire con altri testi propri o altrui, canti adatti e magari segni adatti alla comunità che celebrerà.
· Proporre un incontro con qualche sociologo per leggere la realtà in cui si vive sotto l'aspetto delle povertà emergenti, i problemi che le persone incontrano nel vivere ecc. L'incontro può servire come inizio di qualche iniziativa concreta di solidarietà sul territorio che risponda a qualche bisogno disatteso.
· Trovare nel proprio gruppo (e magari proporre anche ad altri) una forma di privazione comunitaria che aiuti a crescere nell'amore per il Signore e nell'attenzione verso gli altri.


QUARESIMA SANT’AGOSTINO D’IPPONA
INCONTRO COL RISORTO COME SGUARDO SALVIFICO SUI PROPRI PECCATI

“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo…. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”; così Agostino nelle “Confessioni”, perché la sua vita fu proprio così: prima l’ansia inquieta di chi, cercando la strada, commette molti errori; poi imboccata la via, sente il desiderio ardente di arrivare alla meta per abbracciare l’amato.
Agostino Aurelio nacque a Tagaste nella Numidia in Africa il 13 novembre 354 da una famiglia di classe media, il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era cristiana e gli diede un’educazione religiosa senza battezzarlo, volendo attendere l’età matura.
Ebbe un’infanzia molto vivace, ma i peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto del facoltoso Romaniano; Agostino aveva 16 anni e cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede un figlio, Adeodato. Questa relazione sembra che sia durata 14 anni.
Le lagrime della madre Monica, cominciavano ad avere un effetto positivo; fu in quegli anni che maturò la sua prima vocazione di filosofo, grazie alla lettura di un libro di Cicerone, l’Ortensio, dove l’autore affermava come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male e ad esercitare la virtù. Purtroppo la lettura della Sacra Scrittura non gli diceva niente e la religione della madre gli sembrava “una superstizione puerile”, quindi cercò la verità nel manicheismo, una religione orientale fondata nel III secolo d.C. da Mani, che fondeva elementi del cristianesimo e della religione di Zoroastro, suo principio fondamentale era il dualismo, cioè l’opposizione continua di due principi egualmente divini, uno buono e uno cattivo, che dominano il mondo e l’animo dell’uomo.
Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo sognato il suo ritorno alla fede cristiana. Nel 376, decise di lasciare Tagaste e ritornare a Cartagine e aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni.
Agostino tra i manichei non trovò mai la risposta certa al suo desiderio di verità e dopo un incontro con un loro vescovo, Fausto, avvenuto nel 382 a Cartagine, che avrebbe dovuto fugare ogni dubbio, ne uscì non convinto e quindi prese ad allontanarsi dal manicheismo. Desideroso di nuove esperienze, resistendo alle preghiere della madre, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia. Anche qui aprì una scuola, ma gli studenti sparivano al momento di pagare il compenso. Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre.
Nel 384 riuscì ad ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica, conscia del travaglio interiore del figlio, come un angelo protettore. E Milano fu la tappa decisiva della sua conversione; qui ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di s. Ambrogio in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato s. Ambrogio all’episcopato, a dargli l’ispirazione giusta indirizzandolo a leggere i neoplatonici, perché suggerivano “in tutti i modi l’idea di Dio e del suo Verbo”. Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; fu convinto da Monica a seguire il consiglio dell’apostolo Paolo, sulla castità perfetta, che lo convinse a lasciare la moglie, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato.
L’amico Ponticiano gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di s. Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di S. Paolo; ritornato a casa sua, Agostino disorientato si appartò nel giardino, dando sfogo ad un pianto angosciato e mentre piangeva, avvertì una voce che gli diceva “Tolle, lege, tolle, lege” (prendi e leggi), per cui aprì a caso il libro delle Lettere di S. Paolo e lesse un brano: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rom. 13, 13-14).
Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre. Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero nella notte del sabato santo, dalle mani di s. Ambrogio.
Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di S. Agostino, essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane. Agostino nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune. Si trovò per caso nella basilica di Ippona, mentre il vescovo Valerio stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo nella predicazione; accortisi della sua presenza, i fedeli gridarono: “Agostino prete!”. Agostino fu costretto ad accettare. Trasferì il monastero ad Ippona, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani.
Il vescovo Valerio convinse il popolo e il primate della Numidia, Megalio di Calama, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare. Dovette lasciare il monastero e la sua fama si diffuse in tutte le Chiese Africane. Nel contempo scriveva le sue opere. Ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa.
Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona fu assediata per tre mesi dai Vandali di Genserico; il santo vescovo ebbe l’impressione della prossima fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni. Il suo corpo, sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517, insieme alle reliquie di altri vescovi africani. Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, vicino ai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando, che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.

Don Angelo Sceppacerca21 febbraio 2007

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