Terremoto di San Giuliano: una sentenza che fa discutere | Diocesi di Trivento

Riflessioni

Terremoto di San Giuliano: una sentenza che fa discutere

A distanza di quasi cinque anni da quel 31 ottobre del 2002, quando una forte scossa sismica colpì 44 Comuni del Molise e della Puglia, quell’evento resta ancora – e lo sarà sempre – “il terremoto di San Giuliano”. Non per la forza esplosa dalle viscere della terra, né per i danni alle vecchie abitazioni, ma per la morte di quei 27 bambini, insieme alla maestra, rimasti schiacciati dal crollo della scuola, unico edificio – fra tutti – a crollare, letteralmente, come un castello di carte. Una tragedia e un dolore che investì il mondo intero. Quei bambini divennero, per tutti, “gli angeli di San Giuliano”. Un’altra immagine rimase impressa, quella dei soccorritori – in quei giorni furono più dell’intera popolazione di San Giuliano – che tirarono fuori salvi, dalle macerie della scuola, 35 persone. L’ultimo bambino, Angelo, dopo 30 ore di scavi. Nel suo nome, il nome di tutti.
Ora la sentenza del processo di primo grado ha dichiarato “non colpevoli” gli imputati, nonostante pare siano state violate numerose leggi sull’edilizia nella costruzione e nella ristrutturazione di quella scuola. In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, per ora si deve dire che a provocare il crollo fu il terremoto. E dolore si aggiunge a dolore. I genitori di quei bambini sentono – e gridano – di averli persi un’altra volta. E non si rassegnano, meno che allora quando invocarono verità e giustizia.
Nei giorni della tragedia alla sbarra degli imputati fu messo Dio: dov’era, mentre la terra tremava e i piccoli non trovavano scampo? Una domanda che non suonò come bestemmia, ma come il grido dell’innocente provato oltre ogni misura. La fede indicò il volto del Dio crocifisso lì accanto a quei bambini, mentre la solidarietà premurosa e amorevole dei soccorritori si fece prossima a tutte le famiglie comunque colpite.
In qualche modo la sentenza di questi giorni chiama in causa, ancora una volta, Dio. Cosa pensare, infatti, quando si riconduce la causa di quelle morti direttamente alla natura, mentre la giustizia degli uomini fatica a trovare risposte adeguate alle nostre legittime domande?
Il giorno del funerale di quei 27 angeli tutti, davvero tutti, si strinsero attorno a quel cratere di dolore, vicini innanzitutto alle famiglie, per condividere in qualche modo quei giorni pesanti e un futuro ancor più faticoso. Forti risuonarono le parole del vescovo: aiutateci nella vigilanza, aiutateci nella prevenzione, aiutateci a non andare di nuovo via da questa terra! Un appello quanto mai attuale.
Anche oggi abbiamo bisogno di parole grandi, capaci di raggiungere il fondo dell’anima, di saziare fame e sete di giustizia e di ricomporre ogni lacerazione. Il dolore, infatti, non solo scava caverne nel cuore dell’uomo, ma lacera anche i nostri rapporti e aggiunge sospetto a sospetto, giudizio a giudizio. Più di ogni altra cosa la comunità di san Giuliano va sostenuta in quest’opera di risanamento e pacificazione, di segni eloquenti per tutti. Anche la prossima riapertura al culto della chiesa parrocchiale vuole essere un simbolo di rinascita per l’intera comunità. Tutto questo, prima di essere un desiderio e un augurio, è compito e responsabilità di ognuno, mezzi di comunicazione compresi. Comunque rispettosi di quello degli uomini, siamo tutti raggiunti dal giudizio della fede e “condannati” alla speranza.
Don Angelo Sceppacerca

UNA CASA PER TORNARE A SPERARE
Riapertura al culto della Chiesa di San Giuliano

Sabato scorso, a San Giuliano di Puglia, il piccolo Comune molisano colpito dagli eventi sismici dell’ottobre 2002 che provocarono la morte di 29 persone, tra le quali 27 bambini della scuola Jovine e della loro maestra, doveva essere una giornata particolare e carica di significato. Era previsto un Convegno su “La formazione e la ricerca in Molise nel settore dell’ingegneria sismica” con la partecipazione di esperti dell’Università per discutere di ingegneria, di problemi sismici e relative soluzioni applicate, in questo caso, alla ristrutturazione e al restauro dell’antica Chiesa parrocchiale di San Giuliano che, nell’occasione, veniva riaperta al culto insieme ai locali parrocchiali. Era prevista anche la consegna di alcune case restaurate, da parte dell’amministrazione comunale.
Qualche giorno prima, però, c’era stata la sentenza di primo grado del tribunale di Larino che aveva dichiarato “non colpevoli” gli imputati e, a seguire, erano venute le contestazioni e gli atti di disobbedienza civile con il rogo delle tessere elettorali da parte di alcuni genitori di quelle piccole vittime del terremoto. Da qui la scelta, da parte della diocesi e della parrocchia, di rinviare il Convegno e di celebrare, in tono semplice e ordinario, la sola riapertura al culto della Chiesa dedicata al martire Giuliano.
Così, dopo cinque anni di silenzio, son tornate a suonare quelle campane per convocare di nuovo i fedeli e segnare, in qualche modo, una nuova fase, un punto di partenza, un segno di speranza per l’intera comunità di San Giuliano. Nessuno vuole dimenticare, ma tutti hanno bisogno del sostegno della fede. E questo è stato il tono e il contenuto delle parole del Vescovo, mons. Gianfranco De Luca, a commento della Parola che, nella vicenda di Abramo, ci assicura che il Signore “non passa oltre”, ma si ferma, ospite, in mezzo a noi. La visita del Signore è gravida di benedizione e di promessa per i vecchi sposi Abramo e Sara: “Tra un anno avrete un figlio”. Il Salmo dice che siamo noi, in realtà, ospiti nella casa di Dio: i puri di cuore abiteranno nella casa del Signore. E, infine, anche il Vangelo parla di casa, famiglia, ospitalità. Gesù può sostare nel suo cammino verso Gerusalemme: c’è una casa e una famiglia di amici che lo accolgono. Il Vescovo spiega così il nuovo significato del tempio sacro, della chiesa, luogo di incontro tra il Signore e il cuore innocente e puro dei suoi figli. Da qui l’invito a puntare tutto sul rapporto con Dio, perché questa è “la sola cosa necessaria”, scelta da Maria ed indicata a Marta, le sorelle del racconto evangelico.
Come Marta, agitata e strattonata da mille incombenze, “anche noi – ha detto il Vescovo nell’omelia – possiamo essere distratti e confusi dai rumori dei cantieri, dalle gru che lavorano… Eppure dobbiamo aprirci alla presenza del Signore, la sola capace di consolare e dare pace ai nostri cuori”. Non si vuole contrapporre l’azione alla contemplazione; le si vuole – al contrario – legare fra loro. Come l’azione scaturisce dalla contemplazione e non se ne stacca mai, così anche oggi, a san Giuliano, le molte cose ancora da fare devono nascere da un cuore sincero e disinteressato.
Il clima pacato della celebrazione ha permesso che venissero pronunciate anche parole ferme e alte come quelle del giovane parroco, don Ulisse, che ha invitato tutti a cogliere alcuni significati più profondi nella riapertura della chiesa, usando le parole del profeta Aggeo: “la gloria di questa seconda casa sarà maggiore di quella della prima e a questo luogo io darò la pace”. Ora tocca ad ognuno costruirla e rinsaldarla. C’è anche l’invito a cogliere i mille segni della gratuità e del dono sperimentati in questi cinque anni. Anche nelle opere di restauro della chiesa, alcune “sfasature tecniche” non hanno fermato le attività di maestranze e artigiani che ancora devono ricevere il compenso per un lavoro che si è voluto, generosamente, portare a termine ad ogni costo.
Le parole di don Ulisse: “questa chiesa è di tutti, sappiate viverla; il tempio è il luogo della pace, sappiate costruirla” suonano ben diverse da quelle di chi crede che la pace possa venire - tutta e solo - da una condanna. Nella compostezza della circostanza e nel raccoglimento del luogo, non è mancata la voce semplice e forte di una anziana signora: “Viva don Ulisse!”. E nessuno ha fermato il lungo e caloroso applauso.

Don Angelo Sceppacerca31 luglio 2007

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