L'omelia di mons. Luciano Suriani pronunciata in occasione della Festa di San Casto | Diocesi di Trivento

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L'omelia di mons. Luciano Suriani pronunciata in occasione della Festa di San Casto

L'omelia di mons. Luciano Suriani pronunciata in occasione della Festa di San Casto

Carissimi,
desidero innanzitutto ringraziare il Pastore di questa diocesi, S.E. Mons. Domenico Angelo Scotti, che ha voluto invitarmi a presiedere questa solenne celebrazione in onore di San Casto. Saluto i cari sacerdoti, che conosco da tempo e con molti dei quali ho condiviso il periodo di formazione in Seminario. Saluto, poi, i religiosi, le religiose e tutti voi, cari fedeli di Trivento, che siete venuti numerosi ad onorare il celeste Patrono.
Vorrei soffermarmi brevemente su tre aspetti della nostra celebrazione. Ricordare la figura di San Casto, meditare sulla Parola di Dio appena proclamata e introdurci nell’Anno Sacerdotale che abbiamo da poco iniziato.

1. Se parliamo della Diocesi di Trivento, in primo luogo dobbiamo far memoria proprio di San Casto, da sempre e unanimemente riconosciuto come primo Vescovo. San Casto che celebriamo oggi non va confuso con gli altri menzionati nel martirologio romano e venerati in Sessa, Capua e Gaeta. Egli è ben individuato ed è raffigurato in un antico quadro dell’undicesimo secolo conservato nell’episcopio. A Trivento, lo sapete meglio di me, c’è anche una località chiamata San Castro, dove, probabilmente, c’era una chiesa dedicata al santo Vescovo e che, prima della edificazione della cripta, sopra le rovine e con i resti del preesistente tempio di Diana, avrebbe potuto conservare le sue sacre spoglie.

Il martirio di San Casto, larinate e fratello degli altri due martiri frentani, i santi Primiano e Firmiano, risale all’ultima persecuzione dei cristiani voluta da Diocleziano nel 304. Le sue reliquie, da non confondere con quelle dei cosiddetti “martiri africani”, furono trasferite dall’anfiteatro di Larino, teatro del martirio, a Trivento e collocate, appunto, al posto dell’ara pagana dedicata a Diana.

Rivisitando la figura di San Casto non si può disconoscere la lunga controversia circa la data esatta dell’inizio dell’esistenza della stessa Diocesi di Trivento. I più pessimisti lo pongono nel secolo nono, da quando cioè abbiamo il primo riferimento scritto. I più ottimisti, invece, spostano l’inizio all’era post apostolica. Come sempre, la verità potrebbe stare nel mezzo e le date del 294, venuta di San Casto a Trivento, e quella del 304, martirio del primo Vescovo, si avvicinano con maggiore probabilità alla verità storica. Queste date ci fanno tornare indietro di secoli, con la memoria del cuore, per fortificare e far crescere la nostra fede alla luce della testimonianza di questi nostri fratelli che sono stati per noi “padri nella fede”. Grazie a loro ed alla loro testimonianza fino al martirio la buona novella del Vangelo di Gesù Cristo è giunta fino a noi.

A questi dati storici dovremmo far seguire quelli ancora più importanti che sono legati alla fede di un popolo, di una comunità che, sotto la protezione del santo martire, hanno edificato la chiesa viva che è in Trivento attorno al loro Pastore. La Cattedrale è il “volto di pietra” di una comunità. San Casto ne è le fondamenta e noi siamo le pietre vive di questo edificio. Ben 83 Vescovi si sono succeduti ininterrottamente sulla cattedra di San Casto. I santi protettori sono i nostri compagni di viaggio, sono coloro che con la testimonianza illuminano il nostro cammino quotidiano e ci stimolano ad una sequela sempre più radicale ed autentica del Maestro.

2. La Parola di Dio che abbiamo ascoltata illumina la celebrazione odierna. Vorrei soffermarmi, in particolare, sul brano del Vangelo di Matteo, tratto dal capitolo 10, che va sotto il nome di “discorso missionario o apostolico”. Dopo aver scelto i dodici, Gesù li istruisce su ciò che li aspetta nella loro missione. Essi saranno chiamati, sull’esempio del Maestro, a predicare e a guarire, ad annunciare la venuta del Regno dei cieli in parole e in opere. Il Maestro non nasconde loro la lotta fisica e spirituale che dovranno affrontare. Nel versetto che precede il brano proclamato, Gesù così si esprime verso i suoi discepoli: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti e semplici come le colombe”. Nella missione, il discepolo è associato al destino dell’Agnello, preda della ferocia del lupo. L’aggressività del male si scarica su di lui. È legge della storia che il male lo porta chi non lo fa; e proprio chi non lo fa, portandolo su di sé senza restituirlo, lo vince.

La croce è la chiave per accedere al mistero di Dio e del mondo. L’Agnello immolato chiarisce l’enigma della storia: il bene vince perdendo e il male perde vincendo, la violenza è vinta dalla non-violenza di chi la porta su di sé. Per questo San Paolo condensa la sapienza nella croce e ritiene di non sapere altro se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Il discepolo deve comprendere che il mistero del Maestro è anche il suo. Noi, troppo spesso, per paura di soffrire e di morire, ci chiudiamo in noi stessi e ci difendiamo, facendo male a noi e agli altri. Quando capiremo che il male non è soffrire e morire – e neanche essere uccisi –, ma far soffrire e far morire? L’amore è quel sacrificio di sé che ci fa simili a Dio, capaci di rispondere alla provocazione del male con il bene.

Questi sono i martiri che la Chiesa ci fa celebrare. Sono i discepoli fedeli al Maestro, quelli che lo amano fino alla fine, fino al dono della vita. E San Casto è uno di loro. È un martire, un testimone che non si è tirato indietro davanti alla violenza della persecuzione, ma ha vinto il male con il bene. Intorno a questa testimonianza di fedeltà eroica è nata una comunità di credenti. Noi oggi lo ricordiamo con gratitudine perché la Chiesa si è fortificata ed è cresciuta con il sangue dei martiri.

Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. La perseveranza è una virtù importante per chi si pone alla sequela di Gesù. Essa si alimenta di quella fedeltà quotidiana alle piccole cose che ci fa capaci, poi, di affrontare anche le grandi sfide. Santa Teresa diceva che chi non è capace di morire di spillo non potrà essere mai pronto a morire di spada. C’è un “martirio del quotidiano” al quale non dobbiamo mai sottrarci, un martirio molto spesso della pazienza, che ci fortifica e ci fa progredire nel cammino della santità. La tentazione di cedere di fronte alle incomprensioni, agli insuccessi pastorali, all’indifferenza di chi ci sta accanto… va vinta proprio con la virtù della perseveranza che, come la pazienza, è la virtù dei forti!

3. La celebrazione odierna cade a ridosso di due momenti importanti vissuti da tutta la Chiesa: la chiusura dell’Anno Paolino, il 28 giugno, e l’apertura dell’Anno Sacerdotale, il 19 giugno, Solennità del sacro Cuore. Credo che, in modi diversi, tutti abbiamo avuto la possibilità, nel corso dell’anno, di meditare sugli scritti dell’Apostolo delle Genti e di avvicinarci ancor di più alla personalità di Paolo di Tarso. Quanto abbiamo riscoperto e rimeditato ci aiuterà senz’altro a vivere bene questo nuovo anno, particolarmente dedicato a noi sacerdoti ed alla grandezza e preziosità del nostro ministero.

All’Angelus di domenica scorsa, il Papa Benedetto XVI si è posto la domanda: qual è la finalità dell’Anno Sacerdotale? Dando ad essa questa risposta: “Esso intende contribuire a promuovere l’impegno di interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”. E aggiunge, riferendosi alla chiusura dell’Anno paolino: “San Paolo è esempio di sacerdote talmente identificato col suo ministero – come sarà anche il Curato d’Ars –, consapevole di portare un tesoro inestimabile, cioè il messaggio della salvezza, ma di portarlo in un ‘vaso di creta’; perciò egli è forte e umile nello stesso tempo, intimamente persuaso che tutto è merito di Dio, tutto è sua grazia. ‘L’amore del Cristo ci possiede’ – scrive l’apostolo, e questo può ben essere il motto di ogni sacerdote, che lo Spirito ‘avvince’ per farne un fedele amministratore dei misteri di Dio: il presbitero dev’essere tutto di Cristo e tutto della Chiesa, alla quale è chiamato a dedicarsi con amore indiviso, come uno sposo fedele verso la sua sposa”.
Per questo Anno Sacerdotale il Papa ha scelto il tema “Fedeltà a Cristo, fedeltà del sacerdote”. L’ha indetto in occasione dei 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney. La conclusione è prevista in Piazza San Pietro, l’anno prossimo, con un “Incontro Mondiale Sacerdotale”. Durante questo anno, poi, è prevista la pubblicazione di un “Direttorio per i Confessori e i Direttori Spirituali”. Benedetto XVI incontrando recentemente gli alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica ha detto tra l’altro: “Il Signore ci vuole santi, cioè tutti suoi, non preoccupati di costruirci una carriera umanamente interessante o comoda, non alla ricerca del plauso e del successo della gente, ma interamente dediti al bene delle anime, disposti a compiere fino in fondo il nostro dovere con la consapevolezza di essere servi inutili, lieti di poter offrire il nostro povero apporto alla diffusione del Vangelo”.

Anche se, negli ultimi tempi, alcuni scandali dei sacerdoti hanno turbato l’opinione pubblica, certamente le colpe di questi non rappresentano la maggior parte del clero e questo anno sarà l’occasione in cui la Chiesa vuole dire, soprattutto ai sacerdoti, ma anche a i cristiani e alla società tutta, che è orgogliosa dei suoi sacerdoti, che li ama e li venera, che li ammira e riconosce con gratitudine il loro lavoro pastorale e la loro testimonianza di vita. Noi tutti, cari confratelli nel sacerdozio, dobbiamo rinnovare la tensione verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del nostro ministero. Le nostre qualità essenziali sono la figliolanza (nei confronti di Dio Padre) e la fratellanza (verso tutti gli uomini). La peggiore malattia che possa insidiare il sacerdozio è la tristezza del cuore, poiché isola, al contrario della gioia, e minaccia in profondità la missione, producendo tristezza e disaffezione per il ministero.

In questo anno di grazia, la Chiesa ci pone innanzi l’esempio di un santo sacerdote, il Curato d’Ars. Nato l’8 maggio 1786 a Dardilly, nei dintorni di Lione, da una famiglia di contadini, Giovanni Maria Vianney inizia a vent’anni la sua preparazione al sacerdozio. Ordinato nel 1815, è per tre anni vicario di Ecully. Nel 1818 è mandato ad Ars. Da subito fa della chiesa la sua casa. Notte e giorno è là a pregare davanti al tabernacolo per la conversione dei parrocchiani. Risveglia la fede con le predicazioni, ma soprattutto con la preghiera e il modo di vivere. Restaura ed abbellisce la sua chiesa. Fonda un orfanotrofio e si prende cura dei più poveri. La fama di confessore attira numerosi pellegrini che vengono a cercare il perdono di Dio e la pace del cuore. Il suo confessionale è assediato dai penitenti: confessa fino a 17 ore al giorno! Pur assalito da prove e difficoltà, rimane radicato nell’amore di Dio e dei suoi fratelli; unica preoccupazione è la salvezza delle anime; parla soprattutto dell’Amore e della Misericordia di Dio. Si consuma d’amore davanti all’Eucaristia, consacrandosi a Dio, ai suoi parrocchiani e ai pellegrini. Muore il 4 agosto 1859. Canonizzato nel 1925 da papa Pio XI, è proclamato nel 1929 patrono universale di tutti i parroci del mondo.

Il curato d’Ars può essere un modello ancora validissimo per tutti i sacerdoti d’oggi e, in modo particolare, può esserlo per voi cari sacerdoti di questa Diocesi. Egli ci insegna che anche nell’anonimato della più sperduta parrocchia del mondo sia possibile risplendere nella luce della santità. Il curato d’Ars ricorda anche l’importanza della parrocchia. Solitamente è il luogo privilegiato dove vivono i cristiani e dove si annuncia il Cristo. Non si devono cercare troppo le cose straordinarie. Il suo esempio può essere un richiamo per molti giovani ingannati dalla notorietà, dal carrierismo, dal riconoscimento immediato. Essi, al contrario, possono essere attirati da una forma di vita povera, umile, modesta e piccola come quella del curato. La piccolezza segna tutta la vita di san Giovanni. È nella piccolezza che Dio fa grandi cose.

Se non l’avete già fatto, vi invito a leggere la Lettera che Benedetto XVI ha scritto per l’indizione di questo Anno Sacerdotale. In essa mette in evidenza alcuni aspetti della vita sacerdotale del Curato d’Ars. Vorrei ricordarne brevemente qualcuna. Innanzitutto l’amore per l’Eucaristia. Dal suo esempio, i fedeli imparavano a pregare, sostando volentieri davanti al tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia. Egli diceva: “Non c’è bisogno di parlar molto per ben pregare. Si sa che Gesù è là, nel santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, rallegriamoci della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera”. E li esortava: “Venite alla comunione, fratelli miei, venite da Gesù. Venite a vivere di Lui per poter vivere con Lui… È vero che non ne siete degni, ma ne avete bisogno!”. Ed aveva preso l’abitudine di offrire sempre, celebrando, anche il sacrificio della propria vita. Diceva: “Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine”.

Proprio questa immedesimazione al sacrificio della croce, lo portava dall’altare al confessionale. Ai suoi tempi la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni. Per tutti aveva la parola giusta. Davanti alle debolezze del penitente egli diceva: “Il buon Dio sa tutto. Prima ancora che vi confessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come è grande l’amore del nostro Dio che si spinge fino a dimenticare volontariamente l’avvenire, pur di perdonarci”. Il Curato d’Ars ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone, perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore.

Questo anno, cari fratelli sacerdoti, sia un tempo di grazia, un’occasione per vivere più e meglio il nostro amore per l’Eucaristia e per il sacramento della Riconciliazione, questo ci aiuterà a riscoprirci amati da Dio di un amore infinito e misericordioso.
Concludo con le parole di Benedetto XVI: “Cari sacerdoti, Cristo conta su di voi. Sull’esempio del santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!”.

Maria, Madre della Chiesa e Madre dei sacerdoti, ci ottenga le sospirate grazie e ci sia accanto in ogni momento della nostra vita.

Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali - Comunicato StampaTrivento (CB), 7 luglio 2009

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