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Sui temi della vita serve più impegno dai laici cattolici italia
L'Osservatore Romano del 3-4 agosto 2009, sotto il titolo “Sui temi della vita serve più impegno dai laici cattolici italiani” riporta il pensiero sulla pillola Ru486 delcardinale Bagnasco, Arcivescovo di Genova e presidente della C.E.I.
Con il via libera alla commercializzazione della Ru486 si fa prevalere "il diritto del più forte". Anche per questo i medici sono chiamati a esercitare il loro diritto all'obiezione di coscienza. È quanto ha affermato in un'intervista al quotidiano "Avvenire" il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco. Per il porporato la decisione dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di introdurre anche in Italia la pillola abortiva, rendendo "tutto più facile", induce sempre più a considerare "l'aborto come un anticoncezionale, cosa che la legge 194 assolutamente esclude".
Il cardinale Bagnasco afferma di aver provato "tristezza, amarezza, preoccupazione" dopo il via libera dell'Aifa, e definisce la decisione come "una crepa nella nostra civiltà". Dove non c'è rispetto integrale della vita umana - afferma - "nel suo concepimento, nella sua fragilità e poi nel suo tramonto, la società è meno umana. È amaro che così prevalga il diritto del più forte". Dietro questa scelta, rileva, "c'è una cultura individualista, nascosta sotto il rispetto della libertà della donna", la donna che "in realtà è consegnata a se stessa, al suo dramma, alla sua sofferenza, alla preoccupazione contingente in cui vive", mentre "una cultura veramente umana implicherebbe invece una presa in carico".
E la responsabilità è anche della politica, che non ha fatto tutto il possibile per arginare questa "deriva": "Si può ragionevolmente fare di più, nel rispetto dei meccanismi democratici", dice il presidente dei vescovi italiani, augurandosi che si alzi "una voce più coraggiosa, chiara, argomentata a tutti i livelli", sui temi della vita umana, da parte dei laici cattolici. È invece pretestuoso invocare l'allineamento all'Europa per giustificare la scelta della pillola abortiva: gli "obiettivi" indicati dagli organi sovranazionali, secondo il cardinale Bagnasco, vanno considerati "solo quando sono orientati al bene, all'ordine morale. Diversamente, un Paese membro deve discostarsi, dando il buon esempio agli altri e diventando capofila di un'inversione di marcia".
Infine l'appello ai medici: "È auspicabile - afferma il cardinale - che l'obiezione di coscienza nata da profondi convincimenti cresca ancora, sia come dato in sé, sia come testimonianza per l'opinione pubblica sulla persistenza di una consapevolezza profonda". Secondo i dati diffusi in occasione della relazione annuale al Parlamento sull'applicazione della legge 194, il 70,5 per cento dei medici italiani, di fronte all'aborto, esercita l'obiezione di coscienza. Questo, è il parere del presidente della Cei, "dovrebbe far riflettere sulla sensibilità ancora fortemente radicata nel cuore degli italiani".
Dopo la decisione dell'Aifa a favore della commercializzazione della pillola abortiva, il confronto si è spostato ora sull'applicazione del protocollo relativo. Una delle questioni principali riguarda l'effettiva praticabilità dell'obbligo della somministrazione della Ru486 in ricovero ospedaliero. Nessuno vuole trattenere le donne con la forza - ha detto il sottosegretario al ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Eugenia Roccella - "ma certamente si pone un problema di sicurezza per la loro salute se tornano a casa, e si pone anche un problema di rispetto della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza". Non si è mai parlato di ricoveri coatti "ed è evidente - ha detto Roccella - che la donna che vuole firmare le dimissioni può farlo e andare via dall'ospedale, ma la questione è proprio questa: si pone così un problema di responsabilità, poiché due pareri del Consiglio superiore di sanità affermano che l'aborto farmacologico non è sicuro allo stesso modo di quello chirurgico se avviene fuori dall'ospedale". Ciò vuol dire che si pongono "problemi di sicurezza per la salute, poiché la domiciliarità rende il metodo meno sicuro e non si può non tenerne conto".
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L'Osservatore RomanoRoma, 5 agosto 2009