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Ma che lingua parliamo?

Ma che lingua parliamo?Da poco sono stati resi pubblici i dati del Centro Europeo per l’Educazione sulla comprensione e l’uso della lingua in Italia da parte degli studenti universitari.
Il quadro è a dir poco allarmante, perché sottolinea in merito una preparazione dei giovani italiani che li pone in graduatoria agli ultimi posti in Europa.
Questo analfabetismo linguistico evidenziato dall’istituto sopra citato è tanto più preoccupante in quanto non si riferisce a fasce di popolazione avanzate negli anni, ma appunto ad universitari e dunque a persone in età giovanile e soprattutto ancora inserite nel sistema scolastico.

L’ignoranza della lingua non riguarda solo la produzione, ma anche la comprensione.
In Italia insomma a livello universitario c’è difficoltà a capire un testo con una terminologia medio alta, ci si esprime in maniera schematica e soprattutto si fa enorme fatica a costruire periodi fluidi, lessicalmente accettabili e corretti dal punto di vista ortografico, morfologico e sintattico.

Qui non si parla tanto dell’uso del congiuntivo o della costruzione di un periodo complesso, ma del modo stentato di parlare o scrivere sul piano della chiarezza e della capacità di comunicazione di idee e concetti.
Ricordiamo tutti il best-seller “Io speriamo che me la cavo” di Marcello D’Orta. Ci siamo molto divertiti, ma forse poco interrogati sul degrado nell’uso della lingua in Italia.
Un’analisi dettagliata degli elaborati scritti dagli studenti nelle scuole italiane ci darebbe oggi sicuramente un livello molto basso dei cosiddetti temi scritti sia sul piano contenutistico che formale.
In un’epoca in cui i giovani dovrebbero possedere competenze accettabili in più di un idioma ha davvero dell’incredibile dover constatare come essi abbiano difficoltà così serie addirittura nella prima lingua.
Con le dovute eccezioni di chi manifesta una preparazione medio alta, in sostanza abbiamo di fronte allievi della nostra scuola che possiedono un bagaglio lessicale molto limitato, una conoscenza scadente delle tecniche linguistiche e soprattutto una capacità espressiva alquanto approssimata.

Perfino nella cosiddetta produzione d’autore l’uso della lingua testimonia qualche difficoltà non solo nella prolissità del periodare, ma anche e sempre più spesso purtroppo nella correttezza grammaticale e sintattica.
Basta scorrere taluni articoli di giornale o leggere volumi pure affermati per avere la conferma di quello che andiamo sostenendo.
Se provate, poi, a navigare sul web vi trovate di fronte a testi davvero illeggibili per scorrettezza e confusione.

Tale decadimento nel possesso e nell’uso della lingua interpella ovviamente tutti, ma in special modo quelli deputati all’insegnamento e quanti lavorano nei diversi sistemi della comunicazione.
La famiglia e la scuola hanno sicuramente grosse responsabilità, perché hanno contribuito ad allontanare i ragazzi dalla poesia, dalla narrativa, dai saggi e dalle opere scientifiche di divulgazione lasciandoli in balia di testi di un’indecente povertà culturale e linguistica; la situazione sopra descritta, però, è anche figlia di strumenti di divulgazione come giornali, televisione, internet o telefonini che hanno finito per privilegiare le immagini e ridurre la lingua a forme schematiche o pseudo telegrafiche come ad esempio quella degli sms.
Capita perfino che il lessico sia svuotato di significato o reso funzionale a logiche di potere o a modelli culturali senza alcun valore.

È vero che la linguistica come scienza non ha avuto aggiornamenti funzionali ai nuovi strumenti tecnologici di comunicazione, ma questi ultimi si servono di linguaggi privi di qualsiasi regola condivisa.
Si assiste ad una sorta di anarchia linguistica che crea codici per iniziati dalla cerchia ristrettissima, anche quando essi sono destinati a tutti come avviene nei murales.
Ovviamente non siamo contrari a modelli di comunicazione veloci, anche perché tra l’altro sempre più indispensabili, ma abbiamo anche la convinzione che bisogna pure educare i giovani a forme espressive chiare, ricche, fluide, penetranti, capaci di creare riflessioni profonde, ma anche di generare godimento estetico.

Il primo tipo di struttura espressiva può essere utile, ma la seconda produce pensiero, confronto ed ipotesi di azione per l’esistenza.
Forse il degrado nell’uso della lingua è solo figlio della decadenza culturale da medioevo post tecnologico che stiamo vivendo e della mercificazione degli stessi prodotti della cultura il cui orizzonte si abbassa sempre di più o magari è il prodotto del lassismo etico nell’impegno educativo che è sempre più presente nelle famiglie e negli operatori scolastici o infine riguarda l’incapacità a rifiutare codici linguistici di tipo banale, grossolano o addirittura rozzo.

È certo in ogni caso che abbiamo il dovere di ricostruire nei diversi ambienti educativi e di studio un tessuto scientifico serio e rigoroso per ridare alla lingua una funzione importante quale quella che ha sempre avuto nelle relazioni tra gli esseri umani soprattutto in una società multietnica quale quella che si delinea all’orizzonte. di Umberto BerardoTrivento (CB), 15 dicembre 2009

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