Ricorrenze sacerdotali | Diocesi di Trivento

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Ricorrenze sacerdotali

Ricorrenze sacerdotali Come ogni anno al termine di giugno o all’inizio di luglio i presbiteri diocesani ricordano l’anniversario della loro ordinazione sacerdotale.

Quest’anno vale la pena ricordare quelli più significativi: prima di tutto gli anniversari dei nostri Vescovi e poi quelli con particolare scadenza quinquennale. Per i nostri eccellentissimi Vescovi vale la pena ricordare e pregare per il quarantesimo di episcopato e per il sessantaseiesimo di sacerdozio di S. Ecc mons. Enzio D’Antonio, per il trentesimo di episcopato e per il sessantaquattresimo di sacerdozio di mons. Antonio Santucci, per il decimo di episcopato e per il quarantottesimo di sacerdozio del nostro Vescovo Domenico. Per quanto riguarda i nostri sacerdoti: il nostro presbitero decano mons. Giovannino Santangelo celebra il sessantottesimo; a seguire mons. Antonio Iacovetta celebra il sessantacinquesimo, mons. Vincenzo Ferrara e mons. Nicola Gentile celebrano il sessantesimo anniversario, don Antonino Scarano, don Vincenzo Lalli e don Rosario D’ambrosio il quarantacinquesimo, don Vladimiro Porfirio il quarantesimo, don Alberto Conti il trentacinquesimo, don Gino D’Ovidio il venticinquesimo, don Paolo Conti e don Onofrio di Lazzaro il ventesimo.

Il nostro Vescovo Domenico loda Dio ed esprime a tutti i sacerdoti piena e cordiale gratitudine per il lungo e fedele servizio che essi svolgono in modo encomiabile verso questa nostra amata Diocesi, mentre invita tutti i fedeli della Diocesi a ringraziare il Signore per queste vocazioni e a chiederne sempre di nuove, tutte belle e sante.

Mi permetto una riflessione in proposito. Le esortazioni che specialmente gli ultimi Sommi Pontefici hanno indirizzato a noi sacerdoti, ci esortano sempre a non dimenticare che noi sacerdoti siamo tutti un «alter Christus» secondo la forte espressione di S. Paolo: «vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus» (Gal 2,20). E’ stato bello quando in quella che è stata la celebrazione eucaristica con il maggior numero di concelebranti mai avvenuta a Roma (ne furono presenti oltre quindicimila) Benedetto XVI celebrò la messa di chiusura dell'Anno sacerdotale con il calice usato da san Giovanni Maria Vianney, che si conserva nella parrocchia del curato d'Ars.

E in ciò si evince il riferimento preciso allo stile di vita che secondo il papa emerito dovrebbe caratterizzare ogni sacerdote di questo inizio del ventunesimo, egli deve essere ben dotato di semplicità, umiltà e spiritualità. Ogni sacerdote con il sacramento dell’Ordine è divenuto ‘uomo nuovo’ per la spirituale rigenerazione in Cristo. Ogni sacerdote deve poter dire: vivo una nuova vita, e la mia vita è Cristo, il quale in me opera ed in me regna. Cristo vive in me.

C’è chi dice, poi, che una delle più gravi crisi della Chiesa, oggi messa in rilievo, è quella dei preti che non pregano o che non pregano sufficientemente. Mi riferisco alla preghiera personale, quella che richiede tempo sottratto ad altro per intrattenersi con Dio. Quanti sacerdoti lasciano a desiderare perché non hanno una vita spirituale profondamente curata. Non posso sentirmi vero ministro della Parola se prima non sono uomo di preghiera, come Gesù stesso ce ne ha dato l'esempio. Non posso nemmeno giustificarmi dicendo che la mia preghiera consiste nell'attività apostolica, in realtà scarseggia in me l'attitudine alla contemplazione perché mi difetta la capacità di vivere con calma, a causa del correre di qua e di là, o meglio, per dirla con termini ampollosi, a causa ‘della superstimolazione odierna e del supereccitamento generale’. La vita di contemplazione non è altro che la realizzazione della presenza di Dio in noi, così come la preghiera è “il respiro della nostra impotenza e dipendenza da Dio”, i profeti ci ricordano che Dio di incontra nel vento leggero, che Dio opera nella calma, senza frastuono, «con voce lieve». Contemplando si prega. È stato detto e giustamente che «ci vuole la passione della preghiera, per buttarsi nelle mani di Dio e compiere i suoi disegni su di noi». Bisogna farsi guidare sempre dallo Spirito (Cf Gal 5,16).

Quando un fedele trova il sacerdote in preghiera davanti al Tabernacolo sembra che voglia dirgli: ama il carissimo Gesù un po’ anche per me. Cerchiamo di stare uniti a Gesù più che è possibile; nella mia miseria, io so che non mi è dato di star sempre con il pensiero fisso in Gesù, sono una povera creatura e la mia testa è tanto piccola che non ci sta più di un pensiero alla volta, ma quello che importa è che mi sforzo anch’io di ritornare a Gesù con il mio pensiero, appena vedo un sacerdote che lo fa e che mi accorgo che me ne sono stato lontano per un pezzo. Mentre tutti noi dovremmo convincerci che c’è davvero un’unica sola tristezza degna di questo nome, qui su questa terra, ed è quella di non essere santi preti come vorremmo.

Noi sacerdoti in... missione

Ricordo che un sacerdote, recentemente defunto, così si era espresso in una pagina del suo diario: “voglio essere o prete dell'Eucaristia o morire. Le mie parole e le mie opere devono essere sempre predicare Gesù crocifisso. Essere sacerdote della povertà, della carità, della mansuetudine. Mi studierò di essere un Don Niente; Don Niente nelle mani di Gesù è onnipotente”.

Ogni sacerdote considera come il centro della propria vita sacerdotale e di tutta la Chiesa la celebrazione eucaristica. In essa si edifica la Chiesa e da essa si attinge la forza di Cristo, necessaria all'adempimento della propria missione: noi sacerdoti, indegnamente, siamo i dispensatori dunque dei misteri divini, responsabili direttamente della personale santificazione e dell'edificazione del popolo di Dio. Ecco allora che la vita sacerdotale è caratterizzata dal Cristocentrismo. Cristo è per noi, e sempre lo deve essere, il cuore ed il fulcro della vita spirituale, nulla di più e nulla di meno: infatti, nell’intima comunione con Lui, ogni prete trova la forza di rispondere, nelle diverse “stagioni” della sua missione, alla chiamata fattagli dal “giovane maestro di Nazareth” che, vivente oggi sotto le sacre Specie Eucaristiche e nella Chiesa, continua a dire a tanti “discepoli” le parole rivolte ai primi che lo seguirono: “Venite e vedete”.

Solo da una intensa vita contemplativa e di preghiera può scaturire una attività apostolica e pastorale veramente efficace, che diventa un momento della vita e della missione divina ricevute nello Spirito, in quanto l'opera di Cristo si trasfonde nelle umane opere apostoliche per la forza dello Spirito. I fedeli che si rivolgono al sacerdote hanno sete di speranza e di fiducia e noi non possiamo deluderli, come non sarebbe saggio neppure trasformare la Parrocchia in una agenzia di servizi, anche se il fattore spirituale non è esclusivo.

Sarà anche vero che i preti non sanno apprezzare i carismi dei fedeli, ma è anche vero che gli stessi fedeli non mettono a disposizione i propri, perché non si rendono conto delle belle risorse che hanno ricevuto dal Signore non per sé ma per gli altri.

Ho conosciuto preti che erano giudicati forti e prepotenti, impulsivi ed aggressivi, ma anche dietro quella scorza di parvenza esteriore c’era sempre un animo gentile: erano in fondo sacerdoti molto affezionati alla loro gente, perché credevano che in tutte le persone ci fosse del bene e nonostante tutte le delusioni continuavano a fidarsi, preti che per aiutare gli altri hanno dato poca attenzione ai loro problemi di salute e che, anche quando alzavano la voce, poi piangevano, in silenzio, perché amavano veramente i loro fedeli, dai quali non erano compresi.

Non c’è niente di più bello di un sacerdote autentico, con il sorriso della grazia sul volto, che ti aiuta a rialzarti dopo una caduta, che dopo una tempesta ti dà una mano per farti rinascere, per farti tornare più forte e più sereno di prima, che sa curare le cicatrici che nascondi nel tuo cuore e che ti ridà la voglia di illuminare il mondo con il sorriso della bontà.

Solo nella misura in cui io prete riconosco che il soggetto operante e il motore ultimo delle cose è il Signore, ne sento la mano che mi aiuta far fronte ai miei momenti di aridità e di sconforto dovuti, magari, al mancato realizzarsi di tante belle idee, di tanti generosi progetti... E’ importante e necessario che mi convinca davvero, senza riserva alcuna, che non è l’essere umano a “salvare” il mondo, ma che solo il Cristo può salvarlo e ch’Egli solo può avvalorare, inoltre, i miei piccoli sforzi e perfino i miei insuccessi umani, soltanto così sono sicuro di restar fedele, senza remore né turbamenti, a quel “sì” e a quel forte “eccomi” pronunciato dinanzi al mio Vescovo, al momento dell’Ordinazione.

Ogni mattina quando apro la porta della chiesa, mi fermo davanti al tabernacolo e penso: oggi che mi tocca affrontare tante persone, problemi, paure, insicurezze, come mi comporterò? Quante volte ho sbagliato e, nonostante tutto, mi sono sempre riavuto, anche quando sembrava che il mondo mi crollasse addosso: la fiducia in Lui mi sorregge, so che Lui si fida di me, mi aiuta sempre e mi sostiene, con Lui non perdo la speranza, anche quando dovessi piangere con la testa tra le mani perché quel che faccio gli altri lo ritengono sbagliato, con Lui vicino non crollerò mai, mi aiuta a tener alto il morale e mi apre sempre una nuova soddisfacente soluzione.

E’ pur vero che le parole degli altri qualche volta illudono ed altre fanno del male, che alcune persone deludono e si lasciano andare, ma so per certo che Cristo non mi delude mai e perciò ho imparato, col tempo, a saper aspettare, perché la grazia di Dio ha le sue belle stagioni per fruttificare.

Non mi resta che fare una piccola confessione: sento oggi più che mai, dopo quarantasei anni di sacerdozio un grande ardore di fede, di confidenza e di amore, che aumenta di anno in anno, insieme ad un forte desiderio di mortificazione veramente nuovo in me, con quella voglia insaziabile di trovarmi dinanzi a Gesù in preghiera per comprendere meglio il valore della divina presenza negli impegni quotidiani, nonostante tutta la consapevolezza della mia nullità di fronte al compito arduo e divino affidatomi.Ufficio comunicazioni sociali26 giugno 2015

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