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Intervista n.2 ad abba Aldo Balzi, di Stefano Cenerini
In questa intervista, don Aldo racconta il suo essere stato missionario nel sud Etiopia.
Arrivato nell'ottobre 1979, restò vari mesi ad Addis Abeba per studiare amarico (la lingua nazionale). Successivamente ha cambiato numerosi posti, in quanto i superiori hanno spesso avuto bisogno della sua presenza pastorale e della sua versatilità linguistica.
D. In quale missione sei andato all'inizio?
R. Ho speso oltre venti anni nel sud Etiopia, nella regione allora chiamata Sidamo [con la nuova Costituzione del 1995 non esiste più: è entrata a far parte di una circoscrizione molto più estesa comprendente tutta l'Etiopia meridionale, al cui interno ci sono 46 popoli!].
Il primo popolo con il quale sono stato si chiama Sidamo, come del resto la sua lingua. Sono stato circa cinque anni tra Fullasa e Shafinna.
A quel tempo erano missioni di recente istituzione, in linea d'aria non oltre i 30 chilometri dalla città, ma di fatto abbastanza isolate date le difficoltà di spostamenti stradali.
La lingua Sidamo è cushita: lo studio mi ha impegnato a lungo, ma trovandomi tra un popolo che in pratica non parlava amarico, era una questione di sopravvivenza imparare la lingua locale. Di grande aiuto mi fu il materiale redatto dal vescovo di Awasa, mons. Armido Gasperini: grammatica sidamo e dizionario inglese-sidamo. Anche il testo di base della Messa e le letture domenicali c'erano già. Queste opere erano semplicemente ad uso interno, non pubblicate. Solo parecchi anni dopo, negli anni '90, soprattutto ad opera di chiese luterane, è stata pubblicata la Bibbia completa.
Le mie attività principali sono state due: dal punto di vista pastorale, seguii le comunità cristiane già esistenti. Difficile ma entusiasmante fu l'apertura di nuove cappelle, una ventina, nei villaggi dove la gente ci chiamava. Si trattava di una vera prima evangelizzazione verso i pagani.
Tuttavia, l'evangelizzazione da sola non fa per me: quale Vangelo posso predicare se poi io stesso non sono in grado di concretizzare qualcosa per gli ultimi? Pertanto l'attività pastorale andava di pari passo con quella scolastica. Ecco ciò che balzava agli occhi nei villaggi periferici alla missione: scuole solo nei villaggi grandi e bambine in percentuale non superiore al 5% degli studenti. Venne da sé che in ogni nuovo luogo dove si iniziava una cappella per l'evangelizzazione si aprisse contemporaneamente una scuola elementare per l'alfabetizzazione. A quel tempo poter giungere alla fine delle elementari (sei anni) era un gran risultato: non solo, quanto predicavamo in favore della donna diede grandi risultati facendoci giungere ad una presenza scolastica femminile intorno al 40% in pochi anni.
D. Perché così poche femmine a scuola?
R. Come accade anche da altre parti, le bambine hanno dei ruoli “istituzionali” verso la mamma dai quali non possono esimersi: aiuto nelle faccende domestiche, cura dei fratellini, raccolta della legna e rifornimento dell'acqua.
D. Dopo i Sidamo dove sei stato?
R. Fui trasferito più a sud tra i Gedeo, nella missione di Arramo. La zona è tutt'ora molto nota per la bontà del suo caffè: il luogo di Yrga Chafe viene automaticamente associato ad ottime piantagioni.
Per tanti aspetti il mio essere missionario là fu quello di ricominciare da capo.
Dal punto di vista linguistico fui in maggior difficoltà, in quanto gli unici testi scritti erano la Messa e qualche lettura domenicale. Con padre Domenico Andriollo ci mettemmo di buona lena e riuscimmo a produrre in meno di cinque anni tutte le letture domenicali del ciclo triennale, nonché una "mezza grammatica" in lingua gedeo con la supervisione di mons. Gasparini.
L'attività pastorale principale che feci fu anche là l'istituzione del catecumenato, ma con caratteristiche diverse da prima. Infatti un'ampia ma superficiale prima evangelizzazione era già stata fatta da parte di chiese di origine luterana e pentecostale. In pratica i pagani puri che venivano da noi erano pochi.D. Perché questi movimenti da una chiesa all'altra?
R. Certamente la preparazione biblica di coloro che avevano svolto la prima evangelizzazione era
scarsa, per non parlare dell'assenza di quella sacramentale.
Vedendo la buona organizzazione della chiesa cattolica e la preparazione più profonda di noi sacerdoti e dei nostri catechisti, il flusso "migratorio" verso di noi fu decisamente intenso. Accoglievamo tutti, ma senza sconti: il catecumenato andava fatto con regolarità, per bene e fino alla fine dei tre anni previsti.
D. E poi?
R. Le disposizioni della Conferenza Episcopale Etiopica erano, e sono tuttora, quelle di reciproco riconoscimento del battesimo con le chiese luterane: quindi il catecumenato terminava con una grande celebrazione di ingresso definitivo nella chiesa cattolica, seguito dal primo accesso all'Eucaristia. Invece non essendo riconosciuto il battesimo effettuato dalle chiese pentecostali, a chi proveniva da quelle chiese somministravamo il battesimo alla chiusura del catecumenato, a cui seguivano gli altri sacramenti.
D. Dal punto di vista scolastico, invece?
R. Anche qui l'impegno fu grosso, dato che trovammo una situazione molto simile a quella descritta per i Sidamo.
D. So che sei stato anche tra un altro popolo?
R. Dopo i Gedeo andai ancora più a sud tra i Guji, nella missione di Galcha prima e di Killenso - Soddu Abala poi.
Di nuovo trovai tutto diverso: la lingua era una ramificazione dell'Oromo [grosso gruppo etnico del paese, superiore ai 25 milioni di persone] e le tradizioni molto differenti.
Caratteristici di allora erano i sacrifici di animali al demonio: il comune dualismo delle divinità, quella buona e quella cattiva, veniva affrontato cercando di tenersi buona quella pestilenziale.
Pertanto il mio lavoro pastorale fu anche là il catecumenato verso i pagani.
I Guji allora erano tutti pastori, quindi non avevano il tempo per mandare a scuola i bambini. Tuttavia tra loro trovai una maggior valorizzazione della donna: dato che nessuna ragazza veniva maritata prima dei diciotto anni, l'apertura delle nostre scuole determinò fin dagli inizi un buon afflusso femminile.
Ancora: notai significativamente un grande senso della dignità, inteso come orgoglio del modo particolare di essere popolo, con la propria storia. Varie volte mi è successo, visitando le famiglie, di chiedere i nomi delle persone: da quello spunto, alcuni anziani erano capaci di andare indietro una ventina di generazioni.
Infine, è bene ricordare gli Apostoles of Jesus, congregazione missionaria maschile originaria dell'Uganda: essi vennero come rinforzi negli '90 ad Arramo e Galcha. In realtà portarono una loro carismaticità missionaria, fresca, nuova, piaciuta subito. Avevano uno spirito missionario che ho visto in pochi altri. Oggi si può dire che i frutti pastorali che stanno raccogliendo sono abbondanti ed apprezzati nell'intero Vicariato Apostolico di Awasa.
D. Perché così tanto tempo dedicato alle lingue?
R. Lo studio della lingua, o meglio l'entratura nella cultura locale tramite la sua stessa lingua, arricchisce continuamente il missionario. Il rischio senza la lingua è quello di essere un colonizzatore travestito da missionario.
D. Dopo questa lunga carrellata sulla tua storia nel sud Etiopia, in che modo ti sembra di aver seguito e predicato il Maestro?
R. Come vedi, ho avuto a che fare con molta prima evangelizzazione. Nonostante popoli così diversi, la presenza di Dio era sentita tra loro già prima del nostro arrivo: mi piace qui ricordare il bellissimo discorso di Paolo all'Areopago (cfr. At 17, 22-31). "Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (CCC 28).
Quindi noi missionari abbiamo completato l'annuncio con l'evangelo della risurrezione di Gesù.
D. Tuttavia non deve essere stato facile eliminare i sacrifici.
R. Quando annunci che Gesù ha vinto il male, quando mostri che ci sono guarigioni così numerose nei Vangeli, allora il cammino è ben tracciato: il demonio c'è, ma possiamo vincerlo abitualmente con la fede14 luglio 2015