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Recensione dell'ultimo libro di Don Erminio Gallo
DON ERMINIO GALLO, "Vescovi, Clero ed Ordine Francescano nel XII secolo", ed. Il pozzo di Giacobbe.
L'ultimo saggio di Don Ermino Gallo, Professore di Storia della Chiesa e di Archeologia Cristiana presso l'Istituto Teologico Abruzzese Molisano affiliato alla Pontificia Università Lateranense di Roma, affronta un argomento molto spinoso, che potremmo dire si è ripresentato varie volte ed in diverse epoche nella Storia della Chiesa, seppure con sfaccettature di diverse, accompagnato da episodi talvolta altamente conflittuali, talvolta da esempi altamente edificanti di feconda collaborazione, e precisamente il rapporto tra Clero, Episcopato ed Ordine Francescano. L'autore circoscrive la sua trattazione agli inizi della Storia del Francescanesimo, precisamente il XIII secolo, ma già nella Prefazione si fa notare che "I rapporti tra i Frati Minori e l'episcopato apparivano tesi ancor prima della morte di Francesco d'Assisi. Nel capitolo XVII della Regola non bollata s'imponeva infatti ai frati di non predicare «contro la forma e le disposizioni della santa Chiesa» ...le quali ... assegnavano al vescovo la responsabilita della predicazione nel proprio territorio diocesano; la presa di posizione, piuttosto netta, testimonia una tensione in atto, poiché appare evidente che qualcuno dei frati era andato a urtare contro quelle stesse disposizioni ...Il monito ai frati, in seguito introdotto nella Regola bollata, di non predicare «nella diocesi di alcun vescovo, qualora dallo stesso vescovo sia stato loro proibito»... mostra il crescere delle tensioni tra i Minori e l'episcopato, in merito soprattutto alla predicazione e all'ascolto delle confessioni". Tali tensioni esplodo già sotto il Pontificato di Gregorio IX, che più volte deve intervenire tra il 1231 e il 1233 a favore dell'Ordine Medicante nei confronti dei Vescovi, come anche si registrano intorno al 1240 controversie tra Domenicani e Francescani, fino al 1254, quando le tensioni fra episcopato, clero secolare e Ordini mendicanti finirono per influire sulle vicende della Chiesa ai massimi livelli quando il 22 novembre con la lettera Etsi animarum Innocenzo IV, contraddicendo la sua linea d'azione negli anni precedenti, prese decisamente posizione a favore del clero secolare, accusando i frati che in contrasto con la legislazione canonica, ricevevano fedeli di altre parrocchie assolvendoli in foro sacramentale, predicavano solennemente al popolo durante la domenica e i giorni festivi, mentre nelle chiese parrocchiali si celebrava la messa solenne, non desistevano neppure quando, nello stesso giorno «e spesso anche nella stessa ora», era addirittura il vescovo a tenere la predica solenne; si recavano tempestivamente, e furbescamente, al capezzale dei moribondi per trarne vantaggi materiali, cosa che originava nel popolo la mancanza di devozione e il disprezzo verso i propri sacerdoti, per cui il pontefice poneva numerosi limiti e divieti all'impegno pastorale dei Mendicanti. Tale bolla ebbe vita breve perché il 22 dicembre 1254 il nuovo pontefice Alessandro VI la abrogava con la bolla "Nec Insoitum" assumendo posizione opposta. La questione affrontata nello studio di Don Erminio Gallo non è di secondaria importanza, perché furono, a partire da queste controversie, proprio i teologi dell'Ordine Francescano a sviluppare una teologia compiuta della plenitudo potestatis papale. Il lavoro di Don Erminio analizza in quest'ottica le antiche cronache francescane di Giordano da Giano, di Tommaso da Eccleston e di Salimbene de Adam. Il lavoro e composto da quattro capitoli e un'appendice. Il primoripercorre in sintesi le vicende principali dell'Ordine francescano,avvenute nel corso del Duecento; il secondo e il terzo trattano rispettivamente le cronache di Giordano da Giano e di Tommaso da Eccleston. L'ultimo, il piu corposo, esamina l'opera salimbeniana. Nell'appendice sono trascritte alcune bolle papali che hanno scandito i passi piu significativi della vita francescana del secolo XIII.
Nel primo capitolo il nascere delle controversie tra Francescani e Clero secolare lo si rintraccia nel momento in cui questi non si limitarono a cooperare al ministero parrocchiale, ma chiesero e ottennero diritti e privilegi, a causa anche all'allora sistema di controllo da parte del clero della mentalità, delle coscienze e della condotta dei fedeli, come uno strumento valido per gestire la mentalità degli stessi ,a mezzo della predicazione domenicale e festiva e attraverso la confessione annuale che permetteva all'ecclesiastico il controllo sulla condotta morale del penitente, base del legame stretto sacerdote-fedele, e quindi il problema era "il furto di anime" perpetrato dai frati. Problema aggiuntivo era quello dei lasciti agli Ordini Mendicanti piuttosto che alle Chiese Parrocchiali, come anche il conflitto tra Episcopato e Ordini Mendicanti sulla pastorale come compito precipuo dei Vescovi, che erano scavalcati dai frati che si rivolgevano, per i privilegi pontifici, direttamente ai fedeli per riferimento diretto al Pontefice, sottraendosi al controllo degli Ordinari Diocesani. Nel 400 la grande affluenza dei fedeli nelle chiese dei Mendicanti e lospopolamento delle chiese cattedrali e parrocchiali, con tutto ciò che esso comportava, provocò grande preoccupazione nel clero secolare e nell'episcopato. La posizione della Santa Sede fu, eccettuato il caso di Innocenzo IV, sempre favorevole ai Francescani. A ciò si aggiunsero le controversie all'interno dell'Università soprattutto di Parigi, tra il 1253 e il 1255, per l'insegnamento e per le cattedre, tra maestri secolari e Teologi degli Ordini Mendicanti, con diverse concezioni dell'istruzione universitaria in conflitto tra loro e non accettazione delle regole da parte dei secondi, cosa che causò il mutamento di Innocenzo IV. Ci fu un periodo in cui i maestri parigini riuscirono a non ammettere i frati nella corporazione universitaria, non avvallando i privilegi loro accordati dalla Sede apostolica e non accettando la pratica della povertà e della mendicità, perché per loro esistevano solo due ordini di diritto divino nella Chiesa, quello dei vescovi e quello dei sacerdoti che ricevono direttamente da Dio e non dal papa la giurisdizione pastorale, cosa che il pontefice era tenuto a rispettare e a tutelare. I maestri parigini concepivano la Chiesa come una struttura corporativa e il papa, con le sue decisioni, non poteva sconvolgere un ordine armonicamente stabilito per favorire i nuovi arrivati. A loro reagirono Bonaventura e Tommaso D'Aquino, che affermarono rispettivamente che i religiosi avevano ricevuto dal pontefice, da loro considerato come l'autorità universale, una missione e in vista di questo mandato esercitavano legittimamente il loro ministero. San Tommaso d'Aquino, da parte sua, inquadrava la predicazione dei Mendicanti all'interno del diritto comune ecclesiastico e affermava che il loro apostolato era necessario per la salvezza delle anime e siccome il Papa racchiudeva in sé la dignità e l'autorevolezza di Pietro era esonerato dall'osservanza di alcuni canoni conciliari e poteva approvare il ruolo dei Mendicanti all'interno della Chiesa. La controversia sotto Alessandro IV nell'aprile 1255 fu vinta dagli Ordini Mendicanti, chiusa con la "Quasi lignum vitae" che sconfessava l'operato dei dottori parigini. Comumnque la controversia durò fino al Concilio di Lione del 1274, in cui i Vescovi tentarono di far sopprimere gli Ordini Mendicanti. A difesa dei Mendicanti si levarono Bonaventura, Giovanni da Vercelli, maestro dei Domenicani, e Gregorio X. Il Concilio promulgò la costituzione Religionum diversitatem che sopprimeva i piccoli Ordini di religiosi a discrezione della Sede apostolica, posizione di compromesso tra le due istanze. Nel 1282, con la bolla di Martino IV "Ad fructus uberus", che concedeva altri privilegi ai mendicanti in merito alla predicazione e confessione senza il consenso del clero locale, si riaccese con veemenza la controversia in Francia, con l'università di Parigi a difesa del Clero con Macon ed Enrico di Gand, che contestarono il diritto del Papa di concedere tali privilegi. I vescovi francesi inviarono delegazioni al pontefice per esprimere il loro disappunto alla bolla Ad fructus uberes. Niccolo IV affidò ai cardinali Benedetto Caetani e Gerardo Bianchi di Santa Sabina il compito di esaminare le richieste dei vescovi. Il tutto si risolse a favore dei religiosi, in quanto furono annullati gli atti dei Sinodi francesi che limitavano l'applicazione della bolla. Inversione di linea si ha con Bonifacio VIII, che il 18 febbraio del 1300, con la Super cathedram, ritirava il privilegio concesso da Martino IV e stabiliva che i religiosi potevano predicare nelle proprie chiese fuori dalle ore in cui i prelati locali tenevano le loro celebrazioni, che per la predicazione nelle altre chiese occorreva il permesso dei titolari, che i provinciali degli Ordini mendicanti dovevano presentare al vescovo i religiosi che, solo con il consenso episcopale, avrebbero esercitato in diocesi il ministero di confessori, si permetteva ai frati di seppellire nei loro oratori o chiese i defunti di altre parrocchie, maun quarto dei diritti e dei lasciti spettava al parroco del deceduto.
Il secondo capitolo, in merito alla controversie accennate sopra, espone la cronaca di Giordano da Giano, e la sua predicazione nell'impero tedesco, da Trento ad Augusta e in tutta la Germania, e la fondazione dell'Ordine Francescano in questa terra, analizzando i resoconti dei contrasti tra Frati, Vescovo e Clero.
Il terzo capitolo affronta il Tractatus De adventu fratrum minorumin Agliam di Tommaso da Eccleston, che diffuse il Francescanesimo in Inghilterra, sua patria di origine, dal 1224 al 1257, in cui trovò terreno fertile per la buona accoglienza dell'episcopato inglese.
Nel quarto capitolo si affronta la vicenda di Salibene de Adam, che con la sua "Cronaca" copre gli eventi dal 1168 al 1287, preziosa fonte per la storia del Duecento. Salibene visse la sue esperienza francescana soprattutto in Italia e quindi in Francia, e racconta di diversi Vescovi francescani, tra cui Rinaldo d'Arezzo e Rigaldo di Rouen. Parla poi dei Vescovi favorevoli ai francescani come anche di molti Vescovi contrari all'Ordine, soprattutto nell'Emilia Romagna, e dei contrasti con il clero secolare, a cui i francescani rimproveravano soprattutto immoralità, simonia, cupidigia e ignoranza dottrinale, mentre i primi accusavano i frati di usurpare le loro prerogative economiche e pastorali, in merito a predicazione, confessione, funerali e lasciti testamentari. Infine descrive il rapporto con Papa Innocenzo IV e del suo mutare verso i frati, vedendo la sua morte come punizione divina. Lo scritto di Salibene rimane quello più polemico rispetto a Tommaso di Eccleston e Giordano da Giano. Dalla sua narrazione emerge un contrasto tra la perfezione evangelica dei Minori e la totale immersione del clero secolare, vescovi compresi, nella mondanità. Ad avviso di Salimbene gli ecclesiastici secolari, con la loro vita, si erano allontanati dalla missione evangelica. Dalla Cronaca emerge la preoccupazione dell'autore di confutare le accuse rivolte dal clero secolare al nuovo Ordine. Questo obiettivo è del tutto assente nell'opera del Gianese e in quella dell'Eccleston.
In conclusione, l'opera di Erminio Gallo, sintetica e documentata, fa chiarezza sul rapporto iniziale non sempre pacifico tra Ordine Francescano, Clero ed Episcopato, con l'analisi documentaria rigorosa delle fonti dell'epoca, che fanno emergere anche la questione del ruolo e del primato del Sommo Pontefice con l'intervento in queste vicende, e preparano agli sviluppi teologici successivi. Tali contrasti riemergeranno più volte ed in diverse epoche nella Storia della Chiesa, prima di trovare una compiuta sintesi di equilibrio solo negli ultimi due secoli, con chiarificazione sistematica e pacifica nella vita della Chiesa dal Vaticano II ad oggi. Un'opera di chiaro interesse storico.
Don Francesco MartinoAgnone, 9 ottobre 2018