Commento al Vangelo
Domenica 5 ottobre
Liturgia: Ab 1, 2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2Tm 1, 6-8.13-14; Lc 17, 5-10
Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"».
Una fede che sposta le montagne, compatta, potente, sicura come il granito. Gli apostoli dovevano sentirne un grande bisogno. E la chiedono con forza per poter affrontare la vita che intravedevano davanti a loro: Accresci in noi la fede! Una richiesta che varca i secoli ed è anche nostra, oggi e in tutti i tempi incerti, sconvolti, debilitati e senza punti di riferimento. Si cercano miracoli e segni straordinari non per sbalordire, ma per piantare più a fondo la certezza della fede.
Ne basta un granello, ma a che serve la fede? Ad avere forza di perdonare. Il perdono è possibile per la forza della fede. Ne basta poca perché la fede è sempre comunione con il Dio onnipotente.
Ve ne basterebbe quanto un granello di senape. La prima risposta del Signore è semplice e dura: noi di fede non ne abbiamo per niente. Nulla, neppure un pizzico, il più piccolo acino che si possa intravedere. È chiara la sproporzione, nella fede, tra quello che può ottenere lo sforzo dell'uomo e quello che, invece, è puro dono di Dio. Gesù non aveva davanti uomini senza fede, ma individui che, per fede in lui, avevano lasciato tutto e lo avevano seguito. Gesù voleva ribadire che questa fede non era loro, ma dono di Dio, grazia per il presente e per il futuro, in grado di renderli capaci di cose anche più grandi di quelle che accadevano sotto i loro occhi.
Meglio che "Siamo servi inutili", è dire "Siamo servi senza utile, senza guadagno". La fatica dell'apostolo non si spiega con l'utile personale o il guadagno, ma per l'amore a Cristo Signore. Come dice san Paolo, la ricompensa più alta è predicare gratuitamente il vangelo (1Cor 9,18). Per questo tutto quello che riceve è grazia. I santi ne sono modello. E Gesù, il servo obbediente, è lo stampo.
Siamo servi inutili. È la giusta risposta di chi rinuncia alla superbia di possedere la fede (anche nei confronti di chi non l'ha) e si persuade dell'umiltà del servizio. Questo chiede il Signore a chi ha ricevuto il grande dono della luce della fede, il più splendido di cui godere. Poi, certamente, non mancheranno i segni, come non sono mai mancati ai santi. Tutta la storia della Chiesa è una prova evidente e ricchissima di quello che opera la fede, più che spostare le montagne.
Siamo nella parte che Luca dedica alle parabole. In quella che segue ci sono un padrone ed un servo. Il padrone paga il lavoro e il servo svolge il mestiere. È la logica del mercato: chi paga chiede, chi riceve esegue. Oltre al salario non c'è altra gratificazione, né compassione per la stanchezza, né condivisione, né fraternità. Anche qui un messaggio chiaro e duro. Gesù dice che la fede non serve ad ottenere di più e meglio, è grazia eccedente, non nasce per calcolo dell'utile. Perciò è sempre troppo poca, meno di un granello di senape. Ha senso invece supplicarla di nuovo, perché per quanto piccola può cambiarci sul serio e, con noi, trasformare la vita attorno, portando compassione, condivisione, fraternità.
Dopo la fatica nei campi, in mezzo al gregge, fuori di casa, ne viene ancora una, più intima, diretta e profonda, non più nei confronti di cose appartenenti al padrone, ma proprio verso il Signore. È il servizio della preghiera, dell'offerta nascosta, del nascondimento. È la conformità a Cristo che porta i santi a salire sulla Croce e nello stesso tempo a partecipare alla sua consolazione. Ma per questo meglio chiedere ai mistici e ai contemplativi. Come Gemma, Teresina, Brigida, Caterina, Teresa Benedetta, Benedetto, Francesco, Bruno...
La gloria è nel finale: ... e dopo mangerai e berrai tu. Il dopo è certo come lo è questa ora.
Mons Angelo Sceppacerca5 ottobre 2025