9 novembre - Dedicazione Basilica Lateranense | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

9 novembre - Dedicazione Basilica Lateranense

Liturgia: Ez 47, 1-2.8-9.12; Sal 45; 1Cor 3, 9-11.16-17; Gv 2, 13-229 novembre - Dedicazione Basilica Lateranense

Oggi è la Dedicazione della Basilica Lateranense, la Cattedrale di Roma. E' il 9 novembre del 324, alla fine delle persecuzioni contro i cristiani da parte dell'impero romano e papa Silvestro può entrare nella Basilica Lateranense, la prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata, dedicata al culto del Dio cristiano. La chiesa è dono dell'Imperatore Costantino, edificata sul terreno del colle Laterano, fino ad allora proprietà della moglie dell'imperatore, Fausta. La costruzione fu come un risarcimento ai cristiani delle confische subite durante gli anni delle persecuzioni.

Costantino fece molto altro, con provvedimenti che si avvicinavano alla sensibilità cristiana. Il giorno di domenica fu considerato festivo, abolite le sanzioni contro il celibato e la mancanza di prole, mitigate le condizioni degli schiavi, proibita la separazione di padre madre e figli di una stessa famiglia in occasione della spartizione del patrimonio; proibiti per tutti gli spettacoli cruenti. Furono emanate leggi in protezione degli orfani, delle vedove e dei bambini esposti, contro le nozze forzate e la prostituzione negli alberghi. Fu proibito impiegare la croce come strumento di supplizio.

Agostino racconta la conversione del filosofo Vittorino il quale, convinto della verità del cristianesimo, diceva al sacerdote Simpliciano: "Sappi che io ormai sono cristiano". Simpliciano gli rispondeva: "Non ci credo finché non ti vedo nella chiesa di Cristo". E lui: "Sono dunque le pareti che ci fanno cristiani?" Ma un giorno Vittorino lesse nel vangelo la parola di Cristo: "Chi si vergognerà di me in questa generazione anch'io mi vergognerò di lui davanti al Padre mio". Capì, andò da Simpliciano e gli disse: "Andiamo in chiesa, voglio farmi cristiano".

Nell'occasione della Pasqua a quei tempi salivano a Gerusalemme anche centomila persone, si ammazzavano sui 18/20 mila agnelli, era un grosso affare per la gente che portava il tributo al tempio, comprese le monete pagane, non valide in Israele, che bisognava cambiare in quelle pure e nel cambio ci si guadagnava al punto che il tempio veniva ad essere la banca centrale. Se dovessimo fare un parallelo col tempo di oggi, a cosa potremmo paragonare l'episodio? Francamente non tanto ai piccoli negozi di souvenir e di oggetti religiosi che affiancano i nostri santuari: troppa sproporzione con una pagina di vangelo! Anche se una certa purificazione è sempre auspicabile. Francamente, però, non penso che Gesù alludesse alle bancarelle di oggetti di devozione.

Il tempio di Gerusalemme era al centro della città, come al centro delle antiche città c'era sempre un tempio. Oggi al centro non c'è più il tempio, inteso come il luogo di incontro fra Dio e l'uomo e dell'uomo con l'uomo riconosciuto fratello, ma l'economia, la Borsa, il mercato totale, che annulla il volto di ognuno e distrugge la terra e quanto contiene. L'assurdo – che già si verificava per i mercanti nel tempio di Gerusalemme – è che a far guadagnare non è il lavoro, ma lo scambio, il mercato. Gesù rovescia la casa del mercato perché torni ad essere la casa del Padre dove regna la fraternità.

Gesù ha molto amato il tempio di Gerusalemme, ha pianto pensando alla sua distruzione: «È la casa del Padre mio», aggiungendo: «Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere». Parlava del tempio del suo corpo. I giudei non capiscono Gesù; anche i discepoli faticano a capire, però ricorderanno le sue parole, dopo la resurrezione e finalmente si capirà l'accostamento tra il tempio e il corpo del Signore.

La scena di Gesù che scaccia i venditori dal Tempio di Gerusalemme è così vivida e movimentata da attirare tutta quanta la nostra attenzione, col rischio di lasciare in ombra quello che più conta e che l'episodio stesso vuole indicare. I giudei, infatti, avevano chiesto a Gesù "un segno" che giustificasse la sua azione e il Signore, in risposta, lancia una misteriosa sfida: "distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere". Solo dopo la risurrezione gli apostoli capiranno che il tempio di cui parlava Gesù era il suo corpo.

Si comprende bene, solo alla luce di Pasqua, il rapporto fra il tempio profanato dai mercanti e il corpo di Gesù straziato sulla croce e risorto glorioso. Se anche a noi colpisce l'azione di Gesù che rovescia i banchi dei mercanti, ai suoi interlocutori l'allusione alla risurrezione doveva risultare quasi blasfema. Infatti, se il tempio – in ogni cultura religiosa – rappresenta l'ombelico che congiunge terra e cielo, luogo del divino e sorgente dell'umano, centro dello spazio e del tempo, con la persona di Gesù questo "luogo" non sarà più localizzato a Gerusalemme, né in nessun altro posto, ma sarà lui stesso il vero tempio dove abita Dio; e di questo tempio che è il suo corpo, Gesù è il capo e i credenti ne sono le membra. Gesù è il nuovo santuario, "luogo" dove la comunione tra Dio e l'uomo è piena di vita; la Chiesa, corpo di Cristo, è la dimora di Dio che abita nel cuore dei credenti, anch'essi pietre vive dell'edificio spirituale.

La religione degli uomini, nata dal basso, è superata. La vera religione è "dall'alto", nel senso della grazia: Dio stesso si fa presente e visibile – udibile – nella persona e nella parola del Figlio. Lui è la tenda di Dio in mezzo al suo popolo.

Mons Angelo Sceppacerca9 novembre 2025
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