Omelia di S. Ecc.za Rev.ma Salvatore Visco alla Celebrazione della Festa di San Casto | Diocesi di Trivento

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Omelia di S. Ecc.za Rev.ma Salvatore Visco alla Celebrazione della Festa di San Casto

Una foto di S. Ecc.za Rev.ma Salvatore Visco, Arcivescovo di Capua

Quando Matteo scrive il suo Vangelo, circa nell'anno 70, le parole di Gesù poco fa proclamate nel brano oggi presentato alla nostra riflessione nella festa di San Casto, primo evangelizzatore della Chiesa di Trivento, si erano già avverate. "Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi persevererà fino alla fine sarà salvato".
I cristiani sperimentano la dolorosa profezia del loro Maestro e l'evangelista coniuga nel racconto quanto Gesù aveva predetto e quanto la Chiesa stava realmente vivendo.

Intorno all'anno 70 infatti, il giudaismo ufficiale aveva emanato la scomunica verso coloro che, pur professando ancora fedeltà alla legge mosaica, riconoscevano Gesù come il Messia predetto dai profeti e lo invocavano come il mandato dal Padre, morto e risorto per la salvezza del mondo. Per questa decisione dei capi, quanti si dichiaravano ebrei osservanti ma anche seguaci di Cristo, venivano espulsi dalle sinagoghe. Da questo derivano le incomprensioni e le rotture, anche demolenti, all'interno delle famiglie. La decisione, quasi in concomitanza con un altro gravissimo e luttuoso evento della storia ebraica – la distruzione di Gerusalemme a opera degli eserciti romani – creava una situazione di tensione nella quale i cristiani della primitiva comunità si trovarono perseguitati non solo dai pagani ma dai membri delle loro stesse famiglie. Fino a quel momento c'erano state difficoltà ma non lacerazioni, imponendo la scelta escludente di appartenere o alla Chiesa o alla Sinagoga.

Gli Apostoli infatti, e lo stesso San Paolo che verrà chiamato l'Apostolo dei Gentili, cioè dei pagani, dovunque andava innanzitutto si presentava in sinagoga agli ebrei che si trovavano nelle diverse città dell'impero e vi riscontrava non solo dissenso o rifiuto ma spesso anche accoglienza e benevolenza. Tuttavia la tensione verso i discepoli del Signore era sottesa e spesso si rivelava anche violenta. Il sangue del protomartire Stefano, ucciso sotto gli occhi di Saulo, ancora persecutore, aveva inaugurato una serie infinita di martiri che viene ad aggiungersi a quanti – anche nell'Antico Testamento, la Vecchia Alleanza – restavano fedeli agli insegnamenti dell'Unico Dio. La prima lettura di oggi dal Libro delle Cronache, racconta l'uccisione del profeta Zaccaria addirittura nel tempio, il luogo sacro per eccellenza. Il profeta rimproverava al re e al popolo il tradimento dell'Alleanza: "Poiché avete abbandonato il Signore, anch'egli vi abbandona".

Ancora la parola di Gesù ai suoi discepoli dal brano evangelico di oggi: "Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe, e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani". È un preciso invito alla testimonianza che richiede coraggio nell'affrontare la sofferenza ma anche fiducia nell'assistenza dello Spirito Santo che sosterrà coloro che rimarranno fedeli. A quanti potrebbero temere di non essere capaci di affrontare il confronto, anche solo verbale, Gesù confida: "Quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi".

Carissimi fratelli, moltissimi cristiani nel mondo, ancora oggi, vivono la tensione della persecuzione e, talvolta, il martirio cruento solo perché sono seguaci di Gesù. I mezzi di comunicazione, non sempre ma spesso, raccontano di attentati nelle chiese cristiane con decine di morti. Mi viene da ricordare – poiché tali attentati avvengono di solito durante l'Eucaristia domenicale – la risposta che diedero nell'anno 304 i 49 martiri di Abitene, odierna Tunisia, a coloro che li stavano arrestando e li beffeggiavano perché erano tutti lì in giorno di domenica: "Sine dominico non possumus. Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!".

Noi, ringraziando il Signore, siamo liberi di professare la nostra fede e non viviamo – nel nostro continente – persecuzioni cruente. Siamo però ugualmente chiamati a trasmettere la fede con coraggio di fronte a persecuzioni subdole come l'emarginazione culturale, il tentativo di impedire alla Chiesa di proporre un modello di umanità che tenti di somigliare all'Uomo Nuovo Gesù, il progetto di relegare il cristianesimo in una nicchia intimista dalla quale mai uscire per dire, talvolta contestando, che non ci si trova d'accordo ad esempio su come intendere il rispetto per la vita nascente e morente, come definire e vivere l'istituto familiare, come ci si deve porre – nonostante tutti i distinguo – nei confronti di quanti scappano dalla guerra e dalla fame. La deriva laicista investe purtroppo anche le nostre terre e in Molise e nei paesi del sud per ora, pur resistendo sostanzialmente alla desertificazione spirituale come la chiamava Benedetto XVI riferendosi ai paesi del nord Europa, dobbiamo registrare un abbassamento della frequenza alla pratica religiosa e soprattutto una ridotta ricaduta dell'insegnamento della Chiesa nella società. Diverse e complesse le motivazioni che possono provocare questa disaffezione tra le quali anche – ma non solo – un cattivo esempio reale o presunto dei fedeli laici o di un consacrato. Ma è doveroso precisare che la contro testimonianza non tocca il cristiano dalla fede solida, lo fa solo soffrire perché la fede vera è fondata su Cristo, la roccia stabile; fa traballare invece chi ha la fede debole e ha bisogno di essere sostenuto.

Sarà necessario convincersi ed attuare progetti di nuova evangelizzazione fatta soprattutto attraverso la testimonianza di una vita che manifesti l'unità della fede proclamata con la fede vissuta, superando una catechesi esclusivamente sacramentale e puntando su un annuncio permanente di stile esperienziale. Ma purtroppo per questo sembra che non siamo ancora preparati.

Ci sostenga l'esortazione di San Pietro che nella sua prima lettera invitava i cristiani delle prime comunità ad essere: "pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che era in loro" e aggiungeva "Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, e con una retta coscienza" (Cfr. 1Pt 3, 15-16).

Ci siano di fulgido esempio i Santi Martiri, ci sia di esempio il vostro protettore San Casto, vescovo e martire, primo evangelizzatore della vostra Chiesa locale martirizzato agli inizi del IV secolo durante la persecuzione di Diocleziano.
Come leggo da un prezioso libretto di don Erminio Gallo, San Casto sarebbe identificabile nel San Casto di Calvi o in quello venerato a Sessa Aurunca, due diocesi contigue all'arcidiocesi di Capua che venera come proto-vescovo San Prisco martirizzato nel I secolo e che, secondo la tradizione derivata dal Martirologio di Adone di Vienne del IX secolo, sarebbe stato il proprietario del cenacolo dove Gesù celebrò l'ultima Cena con i suoi discepoli prima della Passione.

Appena possibile invierò al vostro Vescovo, cui mi lega una profonda amicizia anche per il prezioso e generoso servizio come Vicario Generale della Diocesi di Isernia-Venafro, una reliquia di San Prisco, come segno di comunione tra le nostre due Chiese.

La testimonianza dei Santi ci ricorda quotidianamente l'universale vocazione alla santità che passa inevitabilmente attraverso l'impegno della conversione; recentemente l'ha ricordato il Papa nell'Esortazione Apostolica Gaudete et exultate. Tutti siamo chiamati alla santità e come Chiesa, per rinnovare il mondo, dobbiamo santificarci e rinnovare noi stessi, sempre pronti a rendere conto della speranza che è in noi e certi che quando annunciamo il Vangelo e diamo la nostra coraggiosa testimonianza soprattutto in situazioni difficili, come ci ha detto Gesù non siamo noi a parlare ma parla in noi lo Spirito del Padre.

Salvatore, arcivescovo

Al termine della celebrazione mons. Claudio ha ringraziato calorosamente:

Una foto del Vescovo Claudio Palumbo durante la celebrazione della Festa di San Casto 2018 a Trivento
  • l'Arcivescovo Salvatore per il dono della sua presenza e della sua dotta parola; ha ricordato anche di due Vescovi di Trivento uno nativo di Capua e sepolto a Trivento (mons. Perchiacchia 1832-1836) e uno che da Trivento fu trasferito poi nella sede metropolitana di Capua (mons. Girolamo Costanzo 1623);
  • i sacerdoti per tutto l'impegno profuso nelle proprie attività pastorali;
  • i sindaci per l'attaccamento e per le energie spese in favore delle nostre comunità;
  • il coro per il prezioso servizio liturgico nelle grandi solennità;
  • e i fedeli di Trivento e della Diocesi sempre attenti a conservare e valorizzare le belle tradizioni religiose.
Ufficio comunicazioni socialiTrivento, 11 luglio 2018

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