L’impegno dei cattolici per il futuro dell’Italia | Diocesi di Trivento

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L’impegno dei cattolici per il futuro dell’Italia

L’impegno dei cattolici per il futuro dell’Italia

Puntuale, come ogni anno, arriva la 46^ Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che si terrà a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre prossimo.
In preparazione di tale appuntamento il Comitato Scientifico ed Organizzatore ha predisposto un documento dal titolo “ Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese”.
I mass media se ne sono occupati, ma con una lettura troppo schematica o addirittura superficiale.
C’è chi ha tentato perfino di utilizzare il tutto per scopi di basso profilo politico.

Le riflessioni del Comitato Scientifico ed Organizzatore vanno al contrario analizzate in profondità, perché sono sicuramente una base di partenza utile per il dibattito nel mondo cattolico nel delineare il futuro dell’Italia sul piano istituzionale, socio-politico ed economico.
Facendo riferimento alla “Caritas in veritate” nel documento ci si pone anzitutto il tema del governo della globalizzazione perché si pongano dinamiche di sussidiarietà e solidarietà che consentano di uscire dalla crisi in atto e perseguire uno sviluppo umano indirizzato al bene comune con un forte richiamo al rispetto della persona con la difesa della vita umana ed il sostegno alla famiglia fondata sul matrimonio di un uomo con una donna.

Entrando poi nell’analisi degli effetti del processo di globalizzazione sulla situazione sociale, economica e politica dell’Italia, nei primi tre capitoli si parla di un Paese definito senza mezzi termini come una “media potenza declinante” soprattutto a causa di tensioni, errori, omissioni e ritardi da tempo dovuti alla sua classe dirigente, per la quale certo la fiducia non raggiunge livelli accettabili da parte di chi ha redatto le considerazioni di cui ci occupiamo.

A pagina 13 si sottolineano con crudezza le questioni più serie che si sono accumulate all’orizzonte: peso ormai insostenibile del debito pubblico, crisi dei processi dell’istruzione e della ricerca scientifica e tecnologica, rarefazione dei soggetti educativi, bassa produttività del sistema economico, attacchi continui ai diritti della persona e della vita, dinamiche demografiche prive di adeguata regolazione, divario di opportunità tra uomini e donne rispetto all’inserimento sociale, minacce sull’istituto familiare, crisi da mancato aggiornamento delle istituzioni politiche, dilagare della povertà e delle povertà, incapacità di fronteggiare ed eliminare la criminalità organizzata, abbandono del patrimonio ambientale, artistico e culturale, divario tra Nord e Sud dell’Italia e declino di talune aree rispetto ad altre, bassi livelli di capitale sociale dei territori.

La ricerca dei problemi impone naturalmente l’individuazione di soggetti in grado di partecipare ad un confronto qualitativamente alto e capace di indicare soluzioni agli stessi.
Partecipare a tale confronto è ovviamente un dovere precipuo per i cattolici che devono porre il loro impegno in tale direzione come un segno di amore per il Paese in cui vivono ed, aggiungiamo noi, per l’intera umanità.
Dal quarto capitolo si passa alla enumerazione delle condizioni capaci di riportare l’Italia verso una ripresa della crescita.
Il primo presupposto viene indicato nel superamento del debito pubblico attraverso il controllo della spesa e dei saldi della finanza pubblica, ma anche con la ricerca di risorse aggiuntive: è un compito prioritario che viene definito un’autentica “istanza etica”.

Le risorse principali in tale direzione vengono individuate nell’accumulo che il Paese possiede sul piano della riserva di capacità di lavoro e d’impresa, nell’arricchimento derivante dal processo d’immigrazione, nella riserva di energia dei giovani, nei tentativi d’innovazione politica e tecnologica e nelle opportunità di partecipazione democratica che bisogna sempre ricercare.
Sul piano economico il documento individua alcune linee molto chiare per il superamento della crisi che devono guidare la costruzione della giustizia sociale attraverso politiche eque.
Ed allora per il superamento delle difficoltà nel mercato del lavoro si indicano una combinazione di flessibilità e sicurezza affidata alle relazioni tra le parti ed il superamento del dualismo nella convivenza di un’area di occupazione protetta e di un’altra senza tutele.

Su questo tema l’analisi sembra troppo generica rispetto ai tentativi in atto da parte di molte grandi industrie di comprimere i diritti dei lavoratori e di ricercare delocalizzazioni della produzione verso Paesi nei quali la tutela del lavoro è del tutto assente.
La recente presa di posizione di molti vescovi sulla necessità di rispettare le garanzie fondamentali acquisite dagli operai nel corso di tanti anni apre francamente il cuore alla speranza.
Sulle politiche fiscali si sottolinea l’iniquità dell’attuale sistema che penalizza talune categorie rispetto ad altre e che dovrebbe fondarsi sul quoziente familiare oltre che essere redistribuita orizzontalmente riequilibrando la pressione dai redditi ai patrimoni.

Il problema da discutere a Reggio Calabria in merito è l’individuazione dei criteri concreti di variazione della fiscalità e la ricerca di sanzioni di deterrenza nei confronti dell’elusione e dell’ evasione fiscale, la cui soluzione, questa sì, aiuterebbe la diminuzione del debito pubblico e la ricerca di fondi per gl’investimenti produttivi.

Sulla revisione del sistema fiscale orientato all’equità nel documento non si fa alcun cenno sulla riorganizzazione della Consob e sull’eliminazione delle inique ed amorali regole della borsa valori; sarebbe opportuno, al contrario, ragionare sui tentativi provenienti proprio da economisti di area cattolica per l’organizzazione di una borsa valori alternativa all’esistente.

La Chiesa non può colludersi con sistemi capitalistici selvaggi e disonesti, così come ha necessità urgente di rivedere le sue strutture finanziarie; perciò, proprio per aiutare i poveri, a livello economico deve fare scelte chiare indirizzate alla giustizia sociale. Per questo lo stesso modello di Chiesa, nella struttura e nelle istituzioni relative, dev’essere più fedele all’insegnamento evangelico.
Per il sostegno alla crescita delle imprese i suggerimenti avanzati sono così sintetizzabili: aumento della “taglia” troppo ridotta delle aziende italiane, miglioramento della frontiera tecnologica per incrementare lo spessore qualitativo delle imprese, creazione di adeguate condizioni ambientali quali la disponibilità di infrastrutture, il contrasto reale alla criminalità, l’efficienza di formazione e ricerca, il ripristino di condizioni di credito accettabili per una capitalizzazione adeguata degli imprenditori, la nascita, accanto alle imprese orientate al profitto, di aziende con scopi mutualistici e sociali.
Si tratta sicuramente di condizioni fondamentali per avviare finalmente in Italia ed in particolare nel Sud una politica economica capace di portare il Paese fuori dall’attuale situazione di stallo.
Un’analisi accurata viene poi condotta sull’emergenza educativa che stiamo vivendo con risultati qualitativamente non eccellenti tra gli studenti ed oltretutto non uniformi sul territorio e con una serie pesante di tagli all’istruzione che non crea certo negli ambienti scolastici un clima sereno e produttivo.

Di qui, piuttosto, la necessità di valorizzare la professione docente, migliorando in tutti un’accurata assunzione di responsabilità, di aumentare il pluralismo dell’offerta scolastica, di ricreare un circuito virtuoso tra autorità genitoriale e libertà delle giovani generazioni e di sostenere l’azione educativa dell’associazionismo legato al mondo del volontariato.
Temi non affrontati ci sembrano quelli relativi alle strutture educative che appaiono troppo datate ed all’organizzazione delle forme di apprendimento che dovrebbero essere sempre più orientate verso la ricerca creativa piuttosto che cristallizzate su un sapere privo di innovazione e di confronto critico.

Il documento pone poi tre questioni da risolvere che sono quelle legate all’inclusione delle presenze degli immigrati, allo sfruttamento delle energie dei giovani ed a quella che viene definita la transizione istituzionale.
Sul primo problema la richiesta del riconoscimento della cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia è sicuramente condivisibile, ma va inquadrata, magari proprio nel corso dei lavori del convegno di Reggio Calabria, in un organico progetto di legge possibilmente di iniziativa popolare.

Sulla necessità di promuovere la mobilità sociale è auspicabile, come sottolinea il documento, un aumento dell’autonomia degli atenei senza precludere l’accesso ai capaci e meritevoli, ma la crescita suggerita dell’autonomia finanziaria delle università attraverso entrate provenienti da aumento delle tasse sulle iscrizioni lascia grandi perplessità sul fatto che una tale via possa coniugarsi con il mantenimento dell’equità nelle pari opportunità di accesso per tutti ad ogni livello di studi. Un discorso che non viene affrontato se non per accenni è invece quello dell’allocazione logistica degli atenei, della loro struttura organizzativa, della congruità dei piani di studio e dei percorsi didattici e scientifici della ricerca; se, infatti, non si affronta ad esempio l’eliminazione del baronato nell’attribuzione delle cattedre ed un controllo serio della gestione degli esami, è difficile poter pensare ad un’università rinnovata.

Per ciò che attiene alla liberalizzazione delle professioni ed all’eliminazione dei tratti di chiusura e di monopolio spesso di tipo ereditario presenti in molte aree è opportuno che il discorso non resti generico, come purtroppo è ancora nel documento che stiamo esaminando, ma che si affronti la questione della libera concorrenza dei servizi professionali a partire da quelli fortemente privilegiati e protetti dai cosiddetti albi quali ad esempio quelli dei notai, dei giornalisti, dei medici. La liberalizzazione ha toccato finora categorie quali quelle dei commercianti o dei tassisti, ma si è fermata lì, senza intaccare minimamente macroscopici monopoli come quelli sopra citati.

L’accesso alle professioni dei giovani richiede la riduzione di barriere inutili e dannose per la giustizia sociale e piuttosto la richiesta di una preparazione sempre più specifica ed adeguata.
Il documento di preparazione alla 46^ settimana sociale dei cattolici italiani si fa piuttosto confuso e contraddittorio nel paragrafo titolato “Completare la transizione istituzionale”.
Si dice inizialmente che in tal senso “molto è stato fatto” nel cambiamento delle regole istituzionali dal modello consensualistico disegnato dai padri costituenti verso uno auspicato di tipo competitivo fondato sul bilanciamento dei poteri; subito dopo, però, si afferma che l’incertezza del modello genera continue tensioni per l’equilibrio costituzionale e si esprimono forti perplessità sulla coerenza del concetto italiano di federalismo e sul principio di sussidiarietà mancante nella sua attuale definizione.
Si suggeriscono poi una legge elettorale che consenta reali possibilità di scelte agli elettori, un rapido potere decisionale al governo, visibilità e specifiche prerogative di controllo all’opposizione, una regolazione trasparente dei finanziamenti della politica.

Tutto questo per il documento dovrebbe consentirci di “favorire la crescita di una società poliarchica”.
Diciamo con franchezza che tale auspicata transizione istituzionale non è il nostro sogno di cattolici, perché quello che speriamo è invece una società fortemente democratica, all’interno della quale la responsabilità decisionale, come abbiamo scritto in diverse occasioni, sia appartenente non a molti, come in un regime poliarchico, ma a tutti i cittadini.
Oltretutto, come molti intellettuali cattolici autorevoli hanno chiarito, è anche nostra convinzione che, contrariamente a quanto afferma il documento, sulla transizione istituzionale non si siano fatti passi avanti, ma ci siano stati fin qui enormi confusioni e forti arretramenti nel potere decisionale dei cittadini, come ad esempio è avvenuto sulla legge elettorale o come si sta cercando di fare nell’organizzazione dell’amministrazione della giustizia o nella garanzia dei diritti dei lavoratori, calpestati negli ultimi giorni dalla Fiat e da altre aziende.

L’Italia sicuramente sta attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia.
Lavorare, allora, a Reggio Calabria per costruire un’agenda di speranza per il futuro del Paese significa, secondo noi, anzitutto diffondere l’esperienza già positivamente avviata in talune diocesi di scuole di formazione politica in grado di formare una classe dirigente matura, responsabile ed obbediente non ad interessi di partito o peggio ancora personali, ma a necessità di giustizia sociale capaci di costruire davvero il bene comune.
Ovviamente il compito dei Cattolici è anzitutto quello di assumersi la responsabilità di creare forme e luoghi di aggregazione con quanti hanno a cuore il bene comune per far nascere centri di elaborazione di idee per la realizzazione di una società evoluta, giusta e democratica.

In questo cammino è chiaro che la forza per costruire la speranza non può venirci, come si auspica nel quinto capitolo del documento, se non da quel Dio che “ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché egli è il nostro tutto, la nostra speranza più grande” (CV 78).

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Umberto Berardo6 settembre 2010

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